lunedì 18 marzo 2013



Cara donna Mestizia,
cinque anni fa, nel giorno del mio cinquantesimo compleanno, il responsabile Risorse Umane della mia azienda mi inviò un sms così concepito (l’ho fatto ingrandire e incorniciare, ce l’ho sotto agli occhi):

“Gentile Collaboratore, come lei sa, la crisi economica non ha risparmiato il settore di mercato nel quale opera la nostra Azienda. Le comunico pertanto che si è deciso di ristrutturare alcune posizioni, tra le quali quella da lei occupata. Rammentandole le clausole sulla riservatezza da lei sottoscritte al momento dell’assunzione, e augurandole un pronto reinserimento, la saluto cordialmente. Suo dr. K. Iller. P.S.: L’ufficio va sgombrato entro le ore 17.55 di stasera.”

Lì per lì ho accusato il colpo, e confesso che sono precipitato in una depressione clinica devastante, ma grazie al sostegno della mia famiglia e del mio psicoterapeuta, che mi ha prescritto un regime accuratamente bilanciato di ansiolitici, antidepressivi ed eccitanti, sono riuscito a reagire. Dando fondo a risparmi ed energie, ho aperto una società di consulenza alle imprese nei campi di mia competenza, e ho gradualmente costruito un portafoglio clienti di tutto rispetto (tra i primi clienti, la mia ex Azienda). Nel giro di un paio d’anni, però, ho dovuto accorgermi che lavoravo sempre di più e guadagnavo sempre di meno. Da un canto, la generale contrazione dell’attività economica diminuiva non solo i miei introiti, ma le stesse occasioni di lavoro; dall’altro, le spese correnti, il costo del credito bancario e del personale benché precario, la tassazione, non facevano che aumentare. Tagliato tutto il tagliabile, per praticare prezzi concorrenziali e restare a galla ho dovuto sempre più spesso lavorare in nero.
Ieri l’altro, giorno del mio cinquantacinquesimo compleanno, ho ricevuto una lettera dell’Agenzia delle Entrate nella quale mi si informa, in buona sostanza, che mi hanno beccato. Ho cercato consiglio presso il commercialista, mio caro amico fin dai tempi del liceo. Però, se gli telefono in studio la sua segretaria (assai attiva nella parrocchia frequentata anche dalla mia famiglia) nega recisamente di conoscere il mio nome; se gli telefono a casa, la domestica filippina (che vive in Italia da venticinque anni) mi risponde in tagalog, i suoi figli (compagni di scuola dei miei) mi dicono che ho sbagliato numero, e sua moglie (con la quale vissi, in tempi migliori, una torrida vicenda erotica clandestina) appena sente la mia voce mi ribatte seccata che no, non vuole abbonarsi a Sky; e bruscamente riattacca. Lui, naturalmente, ha cambiato il numero del cellulare personale.
Le scrivo questa lettera alla fine di un lungo pomeriggio di meditazione, trascorso qui, nel mio studio deserto, nella sola compagnia di una bottiglia di pregiato whisky di malto, di due telefoni ai quali ho provveduto a tagliare il filo, e di tre computer che mi sono tolto il capriccio di sbriciolare a martellate. Al mio cellulare parla, in questo momento, la famigliola di pesci giapponesi che abita l’acquario, e che immagino profitti dell’insperata occasione per rinsaldare i legami con la numerosa parentela rimasta nel Paese del Sol Levante; tanto poi, quando gli arriva la bolletta possono sempre fare seppuku.
Ma torniamo a noi. Tirate tutte le somme, sono giunto a una conclusione incontrovertibile: che a me, i compleanni portano sfiga. Ho pertanto deciso di smetterla: smetterla di compiere gli anni, voglio dire. Con il martello utilizzato per disintegrare i computer ho sminuzzato e polverizzato tutti gli psicofarmaci della mia farmacopea, ricavandone una bomba nucleare chimica più che sufficiente a catapultarmi nel più inaccessibile e lontano degli Aldilà. Ma un attimo prima di trangugiarlo scolandoci sopra il resto della bottiglia di whisky, un dubbio mi ha trattenuto: e se facessi la figura del pirla? Ho notato, infatti, che mentre nei primi tempi della crisi i media davano notevole risalto alla figura dei suicidi per ragioni economiche assortite, da un po’ di mesi questa nuova figura sociale, che pure stava assumendo una sua centralità simbolica, è per così dire arretrata sullo sfondo della scena sociale, o addirittura sparita dietro le quinte, nei camerini fiocamente illuminati dell’anonimato.
Insomma: e se non fosse più di moda, suicidarsi? Raggiungi dopo un vivace dibattito interiore la sofferta decisione, organizzi accuratamente la cerimoniale messa in scena dell’addio al mondo crudele, dedichi un lungo “labor limae” al messaggio finale, reprimi con un soprassalto di volontarismo la ribellione dei tuoi “animal spirits”, spegni gli ultimi dubbi, sormonti le residue esitazioni, e finalmente, là! ti suicidi. Ma se poi il giorno dopo esce la notiziola sul quotidiano locale, chi è morto giace e chi è vivo si dà pace, e l’epitaffio definitivamente scolpito sulla tua avventura terrena è: “Che pirla”? Sarò vanitoso, ma un po’ mi seccherebbe. Lei che ne pensa?
Più Di Là Che Di Qua 2013

Caro Più Di Là Che Di Qua 2013,
dia retta a me: certe cose non passano mai di moda. Un conto è l’effimero, superficiale brillio delle voghe e delle passioni più o meno artificiali, un conto i valori veri, consolidati da tempo immemorabile: che difatti, nonostante tutte le smemoratezze e gli appannamenti, presto o tardi tornano sempre di moda. Veda ad esempio negli abiti: dopo la sciocco gusto per i giacconi supertecnici da commandos, non è tornato di moda il buon vecchio loden? E se oggi il loden sembra ricaduto nel dimenticatoio, stia tranquillo che prima di quanto si pensi tornerà a ricoprire le spalle degli uomini di buon senso, e a campeggiare - fra gli osanna - sulle prime pagine dei giornali. Vada, vada per la sua strada! Come dice il poeta, non si curi di lor, ma guardi e trapassi.

P.S. Ricordo a Lei e ai Suoi eredi che il Suo abbonamento a questa rubrica non è rimborsabile a seguito del Suo decesso. Qualora Ella ritenesse opportuno favorirmi con informazioni riservate raccolte nella Sua prossima destinazione, Gliene sarò grata. Sono certa di interpretare le Sue (ultime) volontà garantendoLe che l’eventuale compenso per dette informazioni Le sarà corrisposto a mezzo non fiori, ma opere di bene.

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...


Nessun commento:

Posta un commento