Si consiglia agli amici che ci seguono un’attenta lettura dell’eccellente
post dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange. E per una semplice ragione: de
la Grange
affronta, con eleganza di pensiero e profonda conoscenza dei
meccanismi reali del "politico", una questione
che va oltre l'ILVA. Quale? « Se un provvedimento,
pur giuridicamente corretto, si rivela foriero di danni enormi, occorre
rispettarlo ed eseguirlo, perché preso da giudici competenti in base a norme
vigenti, oppure derogare, sospendere, modificare la legge e/o gli effetti del
provvedimento medesimo?». Detto altrimenti: governo delle leggi o governo degli
uomini? Ratio o Voluntas, per dirla in linguaggio giuridico? Buona
lettura (C.G.)
ILVA
Governo delle leggi o governo degli uomini?
di Teodoro Klitsche de la Grange
La totalità dei commenti comparsi sulla vicenda ILVA che mi
è capitato di leggere si può ricondurre al repertorio degli idola mediatici e
delle ovvietà del teatrino della politica. La scena è contesa tra i personaggi
della magistratura salva-salute e del governo salva-impresa. Al fine di
chiarirlo il Governo (o la stampa – fa quasi lo stesso) ma subito battezzato il
suo decreto salva-ILVA. A conferma che questo governo che di cristiano non ha
granché ne ha tuttavia la vocazione “soteriologica”: dalla nascita, non fa che
salvare qualcosa (o qualcuno).
Contrariamente a molti commentatori non parteggio né per la
decisione della magistratura tarantina né per l’ILVA, né per il Governo. Lo
stupore di fronte alla chiusura con la carta bollata di un grande stabilimento,
non può far dimenticare il dato di comune esperienza che, proprio perché così
grande e stante il tipo di lavorazioni, l’aria lì intorno non dev’essere
granché salubre, e probabilmente ha provocato e contribuito a provocare danni notevoli
alla salute dei tarantini. Il provvedimento del magistrato non mi pare
appartenga cioè alla categoria di altri provvedimenti giudiziari finiti sulla
stampa che sono apparsi prima che bizzarri, inverosimili.
Pertanto il fatto che, per tutelare il bene-salute, gli
uffici giudiziari tarantini abbiano preso un provvedimento clamoroso e lesivo
di altri interessi tutelati (anche perché non hanno – né possono avere – a
disposizione la gamma di soluzioni che può mettere in campo il potere
governativo-amministrativo), non può suscitare scandalo: il giudice opera in
base alla massima fiat justitia pereat mundus.
Ma è qua che la vicenda dell’ILVA coinvolge una questione
d’importanza fondamentale che è rimossa (o accantonata o sottovalutata) da gran
parte degli “addetti ai lavori”.
Se un provvedimento, pur giuridicamente corretto, si rivela
foriero di danni enormi, occorre rispettarlo ed eseguirlo, perché preso da
giudici competenti in base a norme vigenti, oppure derogare, sospendere,
modificare la legge e/o gli effetti del provvedimento medesimo? E’ il quesito
che si ripete (almeno) da quando lo Stato moderno cominciò a muovere i primi
passi.
Tant’è che se lo pone Machiavelli nei Discorsi (riguardo
alla dittatura romana); Bodin, e tanti altri fino a Jhering, Schmitt e Santi
Romano. La risposta è univoca: il potere politico (il “governo”), che ha come
funzione la protezione della comunità e come principio salus rei publicae
suprema lex, deve, se necessario “rompere gli ordini” (come scriveva il
Segretario fiorentino) e derogare alla normativa vigente, onde evitare di
compromettere l’essere – e il benessere – della comunità. E se – come nella
specie – più interessi, pubblici e meritevoli di tutela sono in conflitto, è
compito di questo ri-comporli, di guisa che non pereat mundus per fare justitia
(che nella specie non è quella di S. Agostino, ma la legalità dello Stato
moderno).
E’ conseguenza della reiterata opera di manipolazione del
sentire comune che la questione non sia avvertita in questi termini, semplici
quanto chiari, espressi dai pensatori prima ricordati.
Si discute di conflitto di attribuzioni e violazione della
Costituzione, identificando la costituzione con quella formale, deliberata nel
’47 e tralasciando altri concetti di costituzione, e, soprattutto, le
concezioni che vedono nella necessità una fonte di diritto (Santi Romano), la
ragione ultima per provvedere nello stato d’eccezione (Jhering e Schmitt), come
nella legalità e nella legge uno strumento relativo (de Maistre), perché non
idoneo a padroneggiare e risolvere ogni situazione concreta.
Se si pone nei termini “correnti” la questione, la tesi, tra
gli altri, del “governatore” della Puglia, che il Governo abbia commesso uno
strappo alla Costituzione (formale), ha diverse chances di essere plausibile:
ma se si parte dall’altra, ossia dalla concezione “classica”, o se si vuole
realista, non si può che aderire per l’appartenenza di tali decisioni del
governo. Anche perché in uno Stato che abbia come compito anche il benessere, e
così il governo dell’economia, l’esigenza di salvaguardare una grande industria
rientra negli scopi da perseguire e nelle situazioni d’emergenza.
E per questo il decidere spetta al Governo, tra l’altro
perché competente alla decretazione d’urgenza, pensata – e disciplinata – soprattutto
in vista delle circostanze eccezionali, non risolvibili con i mezzi ordinari,
come questa..
E, anche per questa “lezione pratica” di diritto
costituzionale, lo dobbiamo ringraziare.
Teodoro Klitsche de la Grange
Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura
politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo
specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001),
L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009).
Nessun commento:
Posta un commento