Il libro della settimana: Mario Motrin, Sociologia degli
spaghetti, Avistella Edizioni 2012, pp. 220, Euro 18,00 - avistella@libero.it
Perché meravigliarsi? Dopo una Sociologia del tacchino,
uscita qualche anno fa negli Usa, dove il gallinaceo,
naturalmente ripieno e al forno, veniva indagato come
veicolo di una socialità tipicamente WASP, non poteva non uscire
dalla penna dello stesso autore, Mario Motrin, docente di sociologia a Chicago,
un saggio dedicato alla Sociologia degli spaghetti, prontamente tradotto da un
piccolo ma capace editore italiano, Avistella. Piccola premessa per
i filologi della pastasciutta ( e in brodo...): va precisato
che il termine spaghetti, ripreso pari pari dall'edizione originale
(titolo e contenuti), include, simbolicamente,
la "italian paste" lunga e corta.
Per venire al libro, diciamo subito che Motrin, dopo un capitolo
introduttivo dedicato alle origini italiane dei “macaroni products",
si occupa prevalentemente del ruolo svolto dagli spaghetti
all'interno della società americana. E in particolare come
fattore di interazione e integrazione socioculturale tra
la comunità di origine italiana e quella
statunitense nelle sue varie e sorprendenti
sfaccettature. Ma entriamo nel merito.
Ai primi del Novecento gli spaghetti erano considerati volgare cibo
da immigrati. Di qui la scarsa considerazione verso un prodotto
disprezzato dalla cucina ufficiale, legata ai tradizionali
modelli anglo-sassoni. Solo negli anni Quaranta, durante la guerra, gli
spaghetti faranno la loro timida comparsa ufficiale nelle mense militari
e nelle soup inscatolate per le truppe combattenti in Europa, dove i soldati
Usa di origine italiana non erano pochi. Dopo di che, solo attraverso una
lunga marcia che scorrerà parallela a quella dei diritti civili, gli
spaghetti conquisteranno diritto di cittadinanza nelle scuole, nelle
famiglie di origine non italiana e, infine, all’inizio del Terzo Millennio,
nei prestigiosi ristoranti della Grande Mela.
Motrin dedica un importante capitolo agli spaghetti come
veicolo di legittimazione all’interno della sub-cultura mafiosa. I “bravi
ragazzi” dovevano cibarsi di spaghetti: guai a scegliere altri modelli culinari,
perché si rischiava di essere emarginati. Siamo davanti a
una "regola" attenuatasi fino a scomparire nel
corso degli anni Ottanta del Novecento, quando alle organizzazioni mafiose di
tipo tradizionale iniziarono a sostituirsi
quelle di tipo post-moderno, attente più alla sostanza
che alla forma delle cose.
Concludendo, un libro da leggere, che tuttavia, come
accennato, indaga principalmente l'universo americano. Si tratta di
un aspetto che doveva essere chiarito fin dal titolo. Magari, sostituendo in
copertina alla celebre caricatura di Totò quella di Tony Soprano mentre si
ingozza di spaghetti nell'anticucina del suo villone.
Carlo Gambescia
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