giovedì 13 dicembre 2012

Il libro della settimana: Mario Motrin, Sociologia degli spaghetti, Avistella Edizioni 2012, pp. 220, Euro 18,00 - avistella@libero.it  


Perché meravigliarsi? Dopo una Sociologia del tacchino, uscita qualche anno  fa negli Usa,  dove il  gallinaceo, naturalmente ripieno e al forno,  veniva   indagato come veicolo di una socialità tipicamente WASP,  non poteva non  uscire dalla penna dello stesso autore, Mario Motrin,  docente di sociologia a Chicago, un saggio dedicato alla Sociologia degli spaghetti, prontamente tradotto da un piccolo ma capace editore italiano, Avistella.  Piccola premessa per i filologi della pastasciutta  ( e in brodo...):  va precisato che il termine  spaghetti,  ripreso pari pari dall'edizione originale (titolo e contenuti),    include, simbolicamente,   la  "italian paste"   lunga e corta.  
Per  venire al libro, diciamo subito che Motrin, dopo un capitolo introduttivo dedicato alle origini italiane dei “macaroni products",   si occupa prevalentemente  del ruolo svolto dagli spaghetti  all'interno della società americana. E in particolare  come fattore  di  interazione e integrazione socioculturale  tra la  comunità  di origine italiana  e quella  statunitense nelle sue  varie e sorprendenti sfaccettature.   Ma entriamo nel merito.
Ai  primi del Novecento gli spaghetti erano considerati  volgare cibo da immigrati. Di qui la scarsa considerazione verso un  prodotto disprezzato  dalla cucina ufficiale,  legata ai tradizionali  modelli anglo-sassoni. Solo negli anni Quaranta, durante la guerra, gli spaghetti faranno la loro timida comparsa  ufficiale nelle mense militari e nelle soup inscatolate per le truppe combattenti in Europa, dove i soldati Usa di origine italiana non erano pochi. Dopo di che,  solo attraverso una lunga marcia che scorrerà parallela a quella dei diritti civili,  gli spaghetti conquisteranno diritto di cittadinanza nelle scuole, nelle famiglie di origine non italiana e, infine, all’inizio del Terzo Millennio, nei  prestigiosi ristoranti della Grande Mela.

Motrin dedica un importante capitolo agli spaghetti come veicolo di legittimazione all’interno della sub-cultura mafiosa. I “bravi ragazzi” dovevano cibarsi di spaghetti: guai a scegliere altri modelli culinari, perché si rischiava di essere emarginati.   Siamo davanti a una  "regola"  attenuatasi fino a scomparire  nel corso degli anni Ottanta del Novecento, quando alle organizzazioni mafiose di tipo tradizionale  iniziarono a  sostituirsi  quelle  di tipo post-moderno, attente più alla sostanza che alla  forma delle cose.

Concludendo, un libro da leggere, che tuttavia, come accennato, indaga principalmente  l'universo americano. Si tratta di un aspetto che doveva essere chiarito fin dal titolo. Magari, sostituendo in copertina alla celebre caricatura di Totò quella di Tony Soprano mentre si ingozza di spaghetti nell'anticucina del suo villone. 

Carlo Gambescia

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