Benché la
questione primarie sia ormai superata (se non del tutto
archiviata...), pubblichiamo volentieri il post dell'amico
Teodoro Klitsche de la
Grange. Riflessione , la sua, che per
profondità va al di là del dibattito politico italiano,
spesso così strumentale.
Il giurista da lui citato, Rudolf
Smend, pubblicò nel 1928, Verfassung und Verfassungsrecht, (Costituzione
e diritto costituzionale, Giuffrè Editore 1988), un testo che
all’epoca suscitò grande interesse. Smend, con altri studiosi weimariani,
si opponeva alla visione puramente formale à la Kelsen , difendendo
una concezione sostanziale del diritto costituzionale, basata sul
concetto sociologico di integrazione.
De la Grange ,
intelligentemente, traspone le tesi di Smend in
ambito politologico, indagando il rapporto tra democrazia,
integrazione partitica e primarie. Buona lettura. (C.G.)
Democrazia e primarie
Teodoro Klitsche de la Grange
Rudolf Smend 1882-1975 -http://www.ekd.de/kirchenrechtliches_institut/9378.html
La diversità di come si “accolgono” le primarie non è tanto
indice di “democraticità”, perché la democrazia consiste essenzialmente nel
potere del corpo elettorale di designare i titolari della (massime) cariche
pubbliche (meglio politiche) e nel diritto di ciascun cittadino di accedervi (e
qua non c’è né cariche né corpo elettorale); un po’ di più nel desiderio di
contare il peso delle varie componenti; ma soprattutto ha un motivo che attiene
al fondamento della forma (e dell’obbligazione) politica.
Ci spieghiamo: se il PD è tutto concorde nel fare le
primarie, mentre il PDL è indeciso, ciò non è dovuto – almeno per il secondo –
all’assoluta prevedibilità dell’esito, ove si presentasse Berlusconi: una
competizione col cavaliere, che alle ultime europee ha preso circa 3 milioni di
preferenze (pari all’intero elettorato del PD alle primarie e a circa – a quanto
risulta – cinque volte gli iscritti al PDL), non avrebbe storia.
No; la questione principale è un’altra: attiene alla
diversità del carattere fondamentale dell’integrazione dei due partiti.
Un acuto giurista come Rudolf Smend sosteneva che: “l’integrazione
è un processo di vita fondamentale per ogni formazione sociale nel senso più
lato”. Questa, in prima analisi, consiste nella “produzione o formazione di
unità o totalità a partire dagli elementi singoli, cosicché l’unità ottenuta è
qualcosa di più della somma delle parti unificate”. E tra i gruppi sociali,
quelli che più necessitano di integrazione sono quelli a carattere politico, a
cominciare dai partiti fino allo Stato. Certo l’opera di Smend era dedicata
alla costituzione statale ed all’istituzione-Stato, ma comunque partiva
dell’affermazione citata, spendibile per ogni gruppo sociale, e ancor più
politico: come un partito. L’integrazione, secondo il giurista tedesco, poteva
distinguersi in materiale, funzionale o personale; e in genere è, in proporzione
diversa tra loro, tutte e tre le cose insieme.
Se si va a vedere come il PD da un lato e i partiti
“berlusconiani” (Forza Italia, PDL) l’hanno realizzata, si vedono differenze
fondamentali. In questi ultimi l’integrazione personale attraverso la personalità,
il consenso e il carisma del capo è portata al massimo (da cui l’ “eccesso”,
spesso stigmatizzato, di populismo); nel PD è al minimo o giù di lì. Lo scarso
“fascino” dei dirigenti, fa sì che un giovanotto brillante – un
semisconosciuto, tranne che a Firenze – come Renzi abbia mancato di poco la
maggioranza.
Inverso è invece il discorso quanto all’integrazione
funzionale, quella fondata cioè sulla partecipazione a elezioni, discussioni,
referendum, comitati e in genere alle procedure di formazione di un senso e una
volontà collettiva. I partiti berlusconiani hanno sempre dedicato scarsa
attenzione alle procedure (ed alla selezione dei dirigenti, spesso “calati
dall’alto” e non eletti dal basso) ed ai “riti” che portano all’integrazione
funzionale. Diversamente dai partiti della prima repubblica (e quindi, da i due
“genitori” del PD) questa tendenza – anche per la diversità delle componenti –
è stata ereditata, e coltivata, nel PD. Il PDL realizza l’integrazione
soprattutto personale, attraverso il rapporto tra capo (carismatico) e base; il
PD quella funzionale, attraverso le procedure e i riti creatori di senso,
orientamento e volontà condivise (dalla base).
Quindi la diversa attenzione (e importanza) delle primarie
non è tanto una scelta tra democrazia e non democrazia (come scrive taluno in
vena di polemica) né tra democrazia “plebiscitaria” e democrazia
“partecipativa”, ma una necessità determinata dal proprio modo di essere e
agire politicamente.
Senza integrazione non esiste soggetto politico unitario:
ognuno deve cercare la più adatta a se, o rassegnarsi a coltivare – da privato
cittadino – altra attività: dall’ippica al giardinaggio.
Teodoro Klitsche de la Grange
Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura
politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo
specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001),
L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove
va lo Stato? (2009).
Nessun commento:
Posta un commento