Galli
della Loggia,
Berlusconi e i “traditori”
Del fatto che la riconoscenza, già ai tempi di Roma, non fosse diffusa tra i
politici, se ne accorse Cesare, suo malgrado, cadendo sotto i colpi dei
congiurati. Pertanto, Ernesto Galli della Loggia non dice nulla di nuovo,
quando lascia trasparire che in politica il tradimento politico sia quasi un
fatto fisiologico ( http://www.corriere.it/opinioni/11_novembre_10/galli-della-loggia-politica-non-esistono-traditori_563a08b0-0bb9-11e1-a5e8-cd9b2a0894cc.shtml ). Aggiungendo che il Cavaliere avrebbe sbagliato tutto rifiutandosi di capire
che «la politica è più forte di qualunque legame personale fondato
apparentemente su qualcosa di simile all'amicizia ma in realtà, assai più
spesso, sui favori e sul denaro travestiti da “amicizia” ». Ragion per cui la
sconfitta di martedì sarebbe «una lezione inaspettata e amara», perché «non
aver capito questo dato capitale è all’origine della stupefacente catena di
errori e di incapacità che lo stanno portando oggi a una fine ingloriosa».
Cosa si vuol dire? O, meglio non dire? Che la politica è nella sua essenza
“tradimento”? Anche se i vincitori e transfughi, come la storia insegna, “dopo”
usano altri termini?
Un passo indietro. Che cos’è “politica” per Galli della Loggia? Non si capisce
bene. Per un verso è interesse, e quindi possibilità di tradimento:
«“Lontanissima da me (…) l'idea di pensare che coloro che non hanno votato con
la maggioranza lo abbiano fatto per chissà quali ragioni ideali»”. Per l’altro,
ideale: « Non già dunque la condivisione di un progetto comune alimentato da
valori comuni, l’elaborazione collettiva delle cose da fare e del come farle
(sia pure, evidentemente, con una diversa incidenza decisionale e con un
diverso grado di responsabilità). No. Al posto di tutto questo, invece - al
posto della politica - la persona, la “sua persona” di capo e benefattore: e
dunque la fedeltà, la devozione e, perché no?, magari pure la simpatia e
l'affetto. Ma comunque e innanzitutto il comando e l’obbedienza. E dunque la
categoria del “tradimento”. Chi non lo segue più non può che essere un
“traditore” » .
«Il comando e l’ obbedienza», sottolinea Galli della Loggia: qui però cade
l’asino. Un certo Julien Freund che all’essenza “du politique” ha dedicato un
tomo di ottocento pagine, spiega che la dialettica tra comando e obbedienza è
uno dei tre presupposti fondamentali del politico (gli altri due sono il
conflitto amico-nemico e quello privato-pubblico) . Senza disciplina, ottenuta
con i mezzi più diversi ( e quindi anche quelli che Galli della Loggia
rimprovera a Berlusconi…), non si va da nessuna parte: dai partiti alle
società; senza il presupposto comando-obbedienza ci si autodistrugge, Si tratta
di una costante metapolitica. Quindi il tradimento, pur rinviando
implicitamente al presupposto comando-obbedienza (perché si può non obbedire a
un comando), è un fattore patologico e non fisiologico. Per quale ragione
patologico? Perché non fa emergere quel principio di ordine (l’obbedienza al
comando) che, sempre secondo Freund, favorisce, in ultima istanza, la
principale finalità del politico: la protezione del cittadino. Ovviamente,
possono nascere conflitti fra differenti tipologie di obbedienza, interne ed
esterne al “politico” (se esterne si tratta di conflitto tra “essenze”diverse,
ad esempio fra obbedienza politica e religiosa); conflitti componibili o meno .
Come, del resto, la finalità del presupposto comando-obbedienza può cambiare
nei contenuti storici (contenuti sui quali possono registrarsi le idee più
differenti), ma non nella sua forma, o essenza, di natura protettiva (sul cui
valore non può regnare alcun disaccordo).
Pertanto, il Cavaliere ha senz’altro sbagliato nel “dosaggio” (troppo potere
carismatico, tanti rapporti personali, pochi valori comuni, scarsa elaborazione
collettiva), ma è nel giusto quando grida al tradimento. Non ha letto Freund… E
probabilmente ragiona in chiave personalistica. Però il tradimento c’è. E non
farà sicuramente bene all’ “ordine” politico italiano.
Carlo Gambescia
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