lunedì 5 settembre 2011

La sinistra e l’amor patrio 
a corrente alternata



A Genova, la piazza Cgil  ha fischiato l’Inno di Mameli, presenti Burlando, D’Alema, Cofferati.  I quali hanno fatto finta di niente. Eppure fino a qualche giorno fa, complici le manifestazioni del Centocinquantenario,  la sinistra sembrava aver riscoperto l’amor patrio.  Ovviamente,  non parliamo solo della sinistra  dei  cantanti, imitatori e attori. Ma anche di quella composta di  politici e sindacalisti.  Invece è bastato uno sciopero generale… e tutto pare tornato come prima. Perché ?  
In realtà, sarebbe ingiusto negare  il cambiamento intervenuto nella sinistra, soprattutto negli ultimi anni.   Probabilmente,  alla base del  recupero dell’idea di patria  vanno  ricondotti il settennato “tricolore” e “riformista” di Ciampi e  quello, ancora in marcia, di Napolitano. Ma anche la caduta del Muro e il crescente antileghismo, tanto per indicare  i motivi più importanti.   
Resta però il fatto che  il patriottismo “di sinistra” ha radici storiche piuttosto deboli Per almeno due ragioni.
Innanzitutto, la moderna idea giacobina di nazione armata, come momento della verità, dove solo chi va in battaglia diventa cittadino a tutti gli effetti, arrivò in Italia con le truppe di Napoleone, e scomparve con la sua sconfitta.  Certo,  il Risorgimento ebbe  anche  i suoi patrioti eretici, come ad esempio, Pisacane, Mazzini, e più tardi Battisti e Salvemini. I quali cercarono di conciliare nazione e internazionalismo, privilegiando però l’idea di patria. Ma  furono minoranze. Per contro,  il socialismo riformista di Treves e Turati, per non parlare di quello massimalista, rimase largamente internazionalista. Togliatti invece  si legò a Mosca. Mussolini, diversamente, cercò di unificare socialismo e nazione. Con risultati, a dire il vero,  non proprio esaltanti, soprattutto sul piano di una politica estera, inutile nasconderlo,  rovinosa.
Ragion per cui,  l’atto di nascita, a sinistra, dell’idea di patria, risale alla Costituzione Repubblicana del 1948.  Un testo  alle cui origini  non poteva però non esserci  il  mito politico fondante  della Nuova Italia  nata dalla Resistenza, così caro al Pci.  Una scelta, quella comunista,  la cui ambiguità  era   ben riassunta, anche iconograficamente,  dal tricolore che si scorgeva appena sotto la bandiera rossa con stella, falce e martello,  vessillo politico-elettorale del Pci.
E qui sarebbe  troppo lungo  discutere del 1943-1945  come  periodo del massimo indebolimento dell’idea di   patria italiana.  Rinviamo al bel libro in argomento  di Ernesto Galli della Loggia.
Resta però un fatto importante: l’idea di patria  per essere interiorizzata  e sentita  ha bisogno di continuità politica e generazionale.  Proprio quel che è mancato in Italia, e  in particolare nel secondo dopoguerra.   Infatti,  se per  Fascismo e neofascismo, l’esperienza del ventennio restava il coronamento dell’Unità italiana, per la Resistenza, nelle sue varie componenti (quindi anche di sinistra…), la dittatura fascista rappresentava  l’autobiografia in negativo della nazione: una  specie di “tradizione al contrario”, da seppellire. Altro che continuità politica…   Di qui  però la necessità,  visto che  l’uomo non  vive di solo pane,  di riconoscersi in un’ idea di patria, nuova di zecca,  capace di recepire, fondendole insieme, l’idea di libertà e i valori dell’internazionalismo:  una “mission impossible”,  frutto di un confuso mix tra universalismo marxista e cattolico,  che si proponeva di conciliare costituzionalmente patria  e diritti dell’uomo,  a danno però della prima…  Di cui  però fu complice, in sede istituzionale,  anche certo liberalismo nostrano, tutto pace e mercato.  
Perciò,  la nostra Costituzione - e di conseguenza il  neo- patriottismo della sinistra -  resta tuttora fonte di divisioni piuttosto che di unità.  E purtroppo di ipocrisie.
Prendiamo ad esempio il famoso articolo 11 dei Principi Fondamentali: « L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». La sinistra lo usa tuttora per criticare qualsiasi scelta di politica estera  che provi a  giustificare, anche lontanamente, qualsiasi conflitto. Per contro,  sempre la Costituzione, all’articolo 52,  statuisce che «la difesa della patria è sacro dovere del cittadino». Parole, sulle quali fa leva la destra, per giustificare, la guerra al multiforme terrorismo fondamentalista,  minaccioso anche  per il suolo della Patria.   
Chi ha ragione? È possibile eliminare la guerra per legge?   Viene prima la libertà dei popoli o quella delle nazioni? Mah… Di sicuro, la Costituzione,  così com’è,  non aiuta…   
Come definire, allora,  l’idea di patria della sinistra?   Inventata, costituzionale,  e perciò, a voler essere clementi, molto  artificiosa.  Insomma di profondo non c’è nulla. E quando giunge l’ora x, rappresentata da una crisi economica gravissima o dalla partecipazione a una missione militare, nella sinistra  torna sempre a farsi vivo il richiamo della foresta dell’internazionalismo. Il che spiega i fischi di Genova e, più in generale, il patriottismo a corrente alternata.     
In realtà, andrebbero prima  riannodati  i fili della storia d’Italia. Tutti. Prendendo  atto degli errori, delle pagine tristi, ma anche di quelle eroiche. Insomma, non si può costruire un’idea di patria a metà, partendo dal 1945,  oppure dal 1861, saltando a piè pari, l’Italia della Prima guerra mondiale, perché oggi l’articolo 11 della Costituzione ripudia la guerra…       

                                                               Carlo Gambescia


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