Chiesa delle parole o del silenzio?
In realtà, secondo il Presidente della Cei resta « davvero singolare che a
tutti si riconosca come sacra la libertà di coscienza, mentre dai cattolici si
pretenda che prescindano dalla fede che forma la loro coscienza». Invece, la Chiesa - ecco le sue
conclusioni - «ha il dovere di essere attiva per far sì che la società non
diventi dei forti e dei furbi, cioè disumana».
Chiarissimo. Secondo il Cardinal Bagnasco, come per Paolo di Tarso, il
cattolicesimo deve parlare al mondo. Tuttavia c’è una controindicazione. Però,
come nostro costume, la prendiamo da lontano. Chiediamo perciò al lettore un
briciolo di pazienza.
Le democrazie contemporanee, piaccia o meno, si reggono istituzionalmente sulla
ragionata dialettica degli interessi. Semplificando: gli interessi vengono
sempre incoraggiati e preferiti rispetto alle passioni, soprattutto se roventi.
Ovviamente, ogni pacata dialettica democratica implica la crescente
trasformazione dei differenti attori collettivi in gruppi di pressione
economica, sociale e culturale. Di riflesso, quanto più una società risulta
capace di contrattare pacificamente i diversi interessi, tanto più riesce a
ridurre il rischio di conflitti sociali e politici violenti.
Perciò denunciare, magari ad arte, un gruppo sociale, religioso, culturale solo
perché si è trasformato ( o cerca di trasformarsi)) in gruppo di pressione,
rischia di alterare il corretto funzionamento di qualsiasi democrazia basata
sulla ragionata dialettica degli interessi.
Pertanto il Cardinal Bagnasco ha perfettamente ragione quando asserisce che il
cattolicesimo ha tutto il diritto di parlare al mondo. Tuttavia, il vero
problema è come: in termini di valori o di interessi? Infatti, la situazione
rischia di complicarsi quando un gruppo religioso, desideroso di partecipare
alla dialettica degli interessi, pretenda al tempo stesso, come spesso capita
alla Chiesa Cattolica, il riconoscimento di uno statuto morale superiore a
quello degli altri gruppi di pressione. E in che modo? Invocando “valori” -
piacciano o meno - spesso estranei alla democrazia degli “interessi”.
E qui si apre un grosso problema: appena lo statuto di superiorità viene
concesso al gruppo in questione, gli altri gruppi sociali (soprattutto se
religiosi) sentendosi discriminati, di regola, passano all’offensiva,
chiedendo, per analoghe ragioni morali, parità di riconoscimento e trattamento.
Il che significa solo una cosa: la democrazia degli interessi implica un forte
potere politico, capace di imporre e far rispettare regole uguali per tutti,
senza però limitare la libertà dei singoli cittadini e dei vari gruppi sociali.
Un obiettivo che non sempre lo Stato riesce a perseguire. E per motivi legati
ai “massimi sistemi”: scarso spirito di autodisciplina dell’uomo, diversità
culturale delle tradizioni storiche, differenti qualità delle élite al potere,
eccetera.
Di qui però il continuo conflitto, non sempre addomesticabile, tra i gruppi
sociali e in particolare fra quei gruppi che si muovono sul confine tra
interessi e valori, come appunto la Chiesa Cattolica.
Del resto può uno Stato restare completamente neutrale? No, visto che le sue
élite dirigenti non possono non riflettere gli interessi e i valori
storicamente prevalenti in ogni epoca.
Quale soluzione?
Difficile dire. Il ritorno, auspicato dal Cardinal Bagnasco, a una democrazia
sacralizzata o imbevuta di valori cattolici (dipende dal punto di vista...),
implica un difficile, se non impossibile, accordo pubblico fra molteplici
tradizioni storiche, fortemente conflittuali. Per contro, qualsiasi ulteriore
cammino sulla via della democrazia degli interessi, comporta il definitivo
“raffreddamento” delle ultime isole di “passione” sociale, a cominciare dalla
Chiesa cattolica. Un fatto non proprio positivo, perché l’uomo non vive di solo
pane…
Inoltre, un potere politico privo di idee, come capita in Italia, contribuisce
a rendere la dialettica tra interessi e passioni sempre più confusa e
pericolosa. Il che non depone in favore della pace sociale.
Insomma, un bel dilemma. Chiudiamo perciò con una citazione del grande Charles
de Gaulle tratta da Il filo della spada ( La Biblioteca di Libero,
pp. 60-61). Certo, parliamo di un repubblicano che non faceva sconti a nessuno.
Tuttavia le sue parole, se ci si perdona il bisticcio, parlano a tutti, a
cominciare dai cattolici : « Silenzio, splendore dei forti, rifugio dei deboli,
pudore degli orgogliosi e fierezza degli umili, prudenza dei saggi e saggezza
degli sciocchi. Per l’uomo che desidera o che trema, il naturale impulso è di
ricercare nelle parole uno sfogo all’angoscia. Se egli vi cede, vuol dire che
compone con la sua passione o con la sua paura. Parlare, d’altra parte,
significa diluire il proprio pensiero, effondere il proprio ardore, in poche
parole disperdersi».
A buon intenditor…
Carlo Gambescia
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