mercoledì 1 aprile 2009

Polemiche

Nadia Urbinati e la democrazia costituzionale come oggetto del desiderio



Ieri Repubblica ha dedicato due pagine del “Diario” al concetto di “popolo”. Tre articoli (Urbinati, Serra, Asor Rosa) dove sostanzialmente si nega l’attualità, se non per scopi manipolativi, (populistici) dell’idea di popolo.
In effetti, oggi resta sempre più difficile, a causa della globalizzazione, parlare di popolo, come insieme di persone che condividono il medesimo patrimonio, di tradizioni e cultura, parlano la stessa lingua e abitano uno stesso territorio. Insomma far coincidere, come nell’Ottocento, Stato e Nazione, con le iniziali maiuscole.
Diverso invece è il discorso sotto l’aspetto "manipolativo". Il concetto di popolo come ideologia unificante-mistificatoria sembra, infatti, resistere. La Urbinati, nel suo articolo suggestivamente intitolato "Popolo. L'oggetto del desiderio della nuova demagogia" sottolinea il pericolo che la pur efficace analogia religiosa “vox populi vox dei”, finisca per pendere, dal lato del “vox dei” da un “partito o un potere dello stato o un uomo". Ovviamente, qualsiasi riferimento a Berlusconi non è puramente casuale…
Ma come impedire questo? La Urbinati ritiene sufficiente “che la democrazia abbia regole e diritti non alterabili dalla maggioranza grazie ai quali i cittadini possono liberamente partecipare al processo di definizione di quella ‘voce’ ".
Sulla "carta" ( magari, costituzionale) tutto ciò è molto bello e poetico. Tuttavia, crediamo, che la “democrazia costituzionale”, sposti solo il problema del consenso. Perché?
Presto detto. Come ogni forma contrattualistica di politica, anche la democrazia costituzionale, implica un pre-accordo di fondo sulle regole (costituzionali), condiviso da maggioranza e minoranza. E di riflesso per fondarsi e durare, impone alle parti quella fiducia che può nascere e rafforzarsi solo attraverso pratiche improntate a un reciproco e duraturo spirito di tolleranza.
Ora, il problema è questo: al momento di "mettere la firma sotto il contratto" che fare di coloro che "non ci stanno"? Per farla breve: si deve essere tolleranti anche con gli intolleranti? Il che significa che la democrazia costituzionale deve essere tollerante anche con gli intolleranti, non escludendoli? Oppure no?
Ma se si apre agli intolleranti non si introduce il rischio che prima o poi, magari attraverso, il puro e furbo rispetto formale delle regole (costituzionali), queste ultime possano essere cambiate a colpi di una minoranza, che può sempre divenire maggioranza, grazie alla democrazia delle libere elezioni? Per contro, se si chiude, non si rischia di chiudere anche all’ipotesi che gli intolleranti possano prima o poi “convertirsi”, proprio attraverso il benefico esempio di una tollerante democrazia costituzionale?
La docente di Teoria politica alla Columbia University non risponde.
In ultima istanza, come ogni teoria politica, anche quella della democrazia costituzionale, difesa dalla Urbinati, implica un giudizio positivo o negativo sulla natura umana. Sotto questo aspetto la Urbinati pecca di ottimismo. Cosicché, e dispiace dirlo, l' "oggetto del desiderio" finisce per essere proprio la democrazia costituzionale. 

Carlo Gambescia

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