Dal punto di vista metapolitico i fenomeni culturali rispondono a un principio di razionalizzazione-giustificazione. Esistono due fasi: fase A in cui a livello di tendenza (cioè quando “si tende” a comportarsi in un certo modo), alcune idee si diffondono, egemonizzando alcuni gruppi sociali; fase B in cui la tendenza, da egemonia a macchia di leopardo, si trasforma in dominio, non sempre assoluto, cioè in istituzioni e comportamenti stabili, ( quando “ci si deve” comportare in un certo modo).
Nella fase B prevale la razionalizzazione, nel senso della giustificazione, anche storiografica, di ciò che in precedenza era solo tendenza, prima tra pochi, poi via via tra un numero sempre maggiore di individui. Un consolidamento che può assumere l’aspetto del dominio di una tradizione: una specie di centro dal quale si irradia una forma di mentalità diffusa, che va puntellare il comportamento e le pratiche quotidiane degli individui, con trame comunque imperfette, che impongono, quando necessario, il potere sanzionatorio della legge.
Ora questa “benedetta” cultura woke (scegliamo questa accezione), che, una volta raffigurata dalle destre come un pericolo, ha consentito addirittura a Trump, il paladino dell’anti-woke, di spaventare gli elettori e vincere , in quale fase si trova? Fase A o fase B?
Diciamo che a livello di fase B, cioè di cultura istituzionale, è esistita ed esiste solo nell’immaginario politico della destra. Non c’è un dominio. Per capirsi: niente a che a vedere con la forza istituzionale di fenomeni come il cristianesimo, il confucianesimo, l’islamismo, vere e proprie tradizioni “irradianti”.
Per contro, l’Occidente euro-americano, tradizione piuttosto giovane, riflette le idee moderne di una società aperta, dove al momento nessuno obbliga nessuno a donare o testare in favore della chiesa, a sacrificarsi al volere dei padri, a pregare cinque volte al giorno. Chi lo fa, lo fa per libera scelta.
Pertanto, la cultura woke, quando intesa in senso neutro, rinvia a una cultura della ricerca dell’eguaglianza diffusa (sintetizziamo), da concretarsi in nuovi diritti. Una cultura che i suoi sostenitori promuovono nelle varie sedi istituzionali e sociali. Siamo quindi in piena fase A. Quindi il dominio della cultura woke è solo nelle fantasie politiche della destra, da sempre però nemica dell’eguaglianza. E che perciò ne amplifica la pericolosità, dipingendo il diavolo woke più brutto di quel che è realmente.
Anche perché la cultura dell’eguaglianza, derivando dalla cultura dei diritti dell’uomo (e del cittadino) è un inevitabile portato del pensiero moderno. Di conseguenza, se si butta a mare la ricerca dell’eguaglianza (e la cultura woke), come concetto e come pratica, si getta via la modernità.
Ciò significa che le destre, nelle varie sfumature (tradizionalisti, reazionari, conservatori, populisti, fascisti e nazisti), che gridano al lupo al lupo woke, sono le stesse che da almeno tre secoli guardano con disprezzo alla modernità. Rifiutano al moderno, liquidato come il brutto anatroccolo, l’ultimo arrivato, una specie di parvenu, la funzione di centro irradiante svolto ad esempio dal cristianesimo, dal confucianesimo, dall’islamismo. Un ruolo che invece spetterebbe al moderno, sia di fatto, perché ha cambiato il mondo in meglio, sia di diritto, per una par condicio metapolitica, cognitiva diciamo.
Per fare solo un esempio di quanto sia radicata a destra la visione antimoderna, oggi Veneziani su “La Verità”, inneggia a Trump, paladino anti-woke, perché – così scrive – avrebbe riportato l' America sulla Terra, al principio di realtà. Che però – ecco la pericolosità della destra – in un intellettuale dalle radici fasciste come Veneziani, rimanda alle rigide gerarchie di valori del pensiero controrivoluzionario, da Maistre e Bonald a Hitler e Mussolini. Insomma, Trump come nuovo uomo delle provvidenza. Che poi Trump ci creda meno, è un’altra storia. Veneziani colleziona santini intregralisti da quando aveva i calzoni corti.
Quel che è fondamentale comprendere è che dietro l’ingannevole critica preventiva al woke c’ è il rifiuto della modernità. Pertanto la destra, non solo rifiuta i diritti LGBT eccetera, ma l’idea stessa dei diritti, inevitabilmente collegata, come detto, all’idea di modernità.
Che poi certa sinistra giacobineggiante voglia affrettare i tempi e passare dalla fase A e B per decreto è un errore. Però, cosa che deve essere chiara: la sinistra, giacobina o meno, si muove all’interno delle modernità e non contro come la destra.
Una differenza non da poco. Per capirsi, un giacobino può, magari con fatica, trasformarsi in riformista, un fascista resta un fascista. Come del resto provano, nel loro piccolo (per dirla con un personaggio di Pupi Avati) gli articoli di Veneziani.
Carlo Gambescia
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