Giorgia Meloni nel botta e risposta con i giornalisti se la cava egregiamente. Per quale ragione? Elevate capacità argomentative? O basse capacità dialettiche dei suoi interlocutori? No, populismo dilagante. E spieghiamo perché.
Si prenda la questione del decreto sospeso sul redditometro. Che risposta ha dato la Meloni? Si legga qui:
“Quel decreto ha però prodotto diverse polemiche, dunque meglio sospendere il provvedimento in attesa di ulteriori approfondimenti, perché il nostro obiettivo è e rimane quello di contrastare la grande evasione e il fenomeno inaccettabile, ad esempio, di chi si finge nullatenente ma gira con il suv o va in vacanza con lo yacht senza però per questo vessare con norme invasive le persone comuni”.
Cosa dice in buona sostanza? Che il redditometro è rivolto a contrastare la grande evasione non la piccola. Insomma non lo mette discussione in quanto tale. E soprattutto accetta l’idea che le tasse sono necessarie e giustificate. Il lettore prenda nota dell’ultimo punto.
Si dirà che sarebbe folle mettere in discussione il moderno pilastro dello stato assistenziale: le tasse (semplificando il concetto). Oggi il dibattito sui tributi si concentra sulla redistribuzione non sul perché della redistribuzione. Nessun politico, a meno che non voglia suicidarsi elettoralmente, proporrebbe di tagliare le fonti economiche del consenso, dal momento che i tributi permettono di erogare quei servizi sociali, promessi in campagna elettorale, che fanno vincere.
Dicevamo dell’abilità o meno di Giorgia Meloni e dei suoi interlocutori. Il punto è che parlano tutti lo stesso verbo, quindi dal contraddittorio esce vincente chiunque la spari più grossa. E Giorgia Meloni, come populista, non ha rivali.
Si rifletta. Come non definire populista il richiamo alla distinzione tra il “nullatenente” che girà in suv, e il “tenente”, “persona comune”, che non ha il suv? Non è forse tipico del populismo esaltare le frustrazioni e l’invidia di chi non ha contro chi ha? Promettendo la redistribuzione all’infinito dei pani e dei pesci?
Perché diffondere l’idea, stupida e rozza, che chi giri in Suv sia un disonesto e chi invece guidi in Panda, sia una persona onesta? E poi onestà e disonestà rispetto a che cosa? L’idea del “do ut des” redistributivo tra stato e cittadino è un’idea socialista non liberale.
Si parte infatti da un presupposto sbagliato. E vero che esiste un principio morale di solidarietà, che valorizza l’interdipendenza tra le persone, ma la sua esecuzione rinvia a scelte private, individuali, libere: “Decido io se aiutare e come il mio prossimo”. Fin qui la dottrina liberale.
Per contro l’obbligo di aiutare il prossimo, cioè “non decido più io, ma lo stato”, in nome di un principio etico, non più individuale ma collettivo, rinvia a entità istituzionalizzate che però schiacciano l’individuo. Qui il succo della dottrina socialista, come obbligo a socializzare. Come nel caso del versamento dei tributi. Non si tratta più di una scelta libera.
Ora, a livello giornalistico – basta fare una rapida rassegna stampa – non si troverà una sola critica al redditometro dal punto di vista liberale. Solo chiacchiere redistributive, previsioni sui possibili teatrini tra alleati, voci di transatlantico, retroscena politici, stronzate (pardon) insomma.
In pratica è un dibattito riservato agli addetti ai lavori: sono tutti socialisti e quel che peggio populisti, non pochi con il torcicollo. Magari sono socialisti senza saperlo, anche perché il liberalismo in Italia non è più di moda almeno dai tempi di Pantaleoni e Pareto. Una volta caduto il busto di gesso fascista (anche fiscale), pure il buon Luigi Einaudi si piegò al principio di progressività (art. 53 della Costituzione). Quindi non si lavora neppure sui ricordi. Che malinconia.
Sicché Giorgia Meloni può vincere facile. Su questo, come su altri argomenti, gioca al rialzo populista.
Per ora, basta così. Una pena al giorno.
Carlo Gambescia
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