Isteria
e società
Anatomia sociologica dell’epidemia di Coronavirus
Insistiamo
sulla nostra tesi, avanzata fin
dall’inizio, circa la natura isterica
dell’epidemia di coronavirus. Socialmente isterica. “Anatomia” , la
nostra, che trova puntelli pratici nel
basso numero di contagiati e morti a livello mondiale, come nelle reazioni politiche decisamente
spropositate e socialmente pericolose.
Inutile,
qui, insistere sui dati storici,
reperibili in rete. L’epidemia di Coronavirus nulla ha in comune, ad esempio, con la pandemia influenzale spagnola, citiamo dall’Enciclopedia Treccani,
“degli anni 1918-19, [che] si diffuse in Italia in tre successive
ondate colpendo quasi tutto il paese e provocando circa 400.000 decessi: si
ritiene che oltre 200 milioni di persone siano state colpite dalla malattia in
tutto il mondo e che il numero dei morti sia stato superiore ai 10 milioni.
Alcuni dati riferiscono di circa 50 milioni di morti.”
Un
atteggiamento passivo
Esageriamo? Isteria, concetto più psichiatrico che sociologico. Poi "evocare" addirittura isteria collettiva… Diciamo
che, sociologicamente parlando,
l’isteria implica sul piano collettivo,
un atteggiamento passivo di fronte all’evento catastrofico, o inteso
come tale, passività che facilita il
controllo sociale da parte delle autorità
politiche grazie alla promessa politica di reintegrazione del sé
sociale. Detto altrimenti: “Di un
ritorno alla normalità”.
Il
soggetto collettivo isterico vive immerso
in una condizione di colpevolezza, abilmente amplificata dalle autorità
politiche per favorire un
controllo sociale, giustificato o meno,
su una collettività ridotta allo stato
infantile.
Un
fenomeno regressivo
In
qualche misura l’isteria sociale è una forma di regressione a uno stato
evolutivo arcaico, dove comando e obbedienza
- fattori alle radici di ogni forma di potere - non hanno necessità di alcuna continua e
snervante mediazione ideologica. Detto
altrimenti, il potere, alla classica domanda del “perché”, risponde con un imperativo verbale: “Si fa così,
perché si deve fare così”. Si è trattati come bambini. Si pensi solo alla metafora italiana, di questi giorni, “Del tutti liberi”, usata dalle autorità politiche, come se
l' intera Italia giocasse a “Tana, liberi tutti”…
La
sindrome cinese
Il
fenomeno della passività, frutto di isterismo sociale, viene però dopo il
fenomeno catastrofico. In prima battuta, va esaminata la reazione delle
autorità politiche, che, anche in questo caso, si è subito configurata, quasi
ovunque, in termini di mimesi sociale
dei provvedimenti coercitivi, presi dalle autorità cinesi. Probabilmente, se
l’epidemia fosse cominciata in uno stato liberaldemocratico, l’approccio politico alla questione avrebbe preso altre strade, meno coercitive.
Il caso invece ha voluto che iniziasse in Cina, sicché il meccanismo sociale
mimetico - che è una macchina sociale
neutrale - si è trasformato in un
moltiplicatore dell’autoritarismo politico della sindrome cinese. E qui, va
anche considerato, un fattore storico,
in particolare per l’Italia (che poi, a sua volta, ha fatto tristemente scuola), la presenza al
governo di forze populiste nemiche della liberal-democrazia e distinte da forti
pulsioni autoritarie.
Il
rinforzo politico-mediatico
Ovviamente,
la scelta cinese dell’Italia ha imposto, per dare un minimo di
giustificazione alle sue politiche draconiane, la sistematica sopravvalutazione
del “fenomeno epidemia” nei termini di una strategia del rinforzo mediatico,
attraverso lo sviluppo di un giornalismo embedded,
fortemente limitato (e autolimitatosi), nella
libertà di espressione. Va però ricordato che, nell’ambito di una cultura
mediatica intrisa di cultura
catastrofista - la principale cultura del nostro tempo - l’evento-epidemia ha subito rappresentato un potente veicolo di moltiplicazione culturale, sociale economica, del messaggio-epidemia, infatti
immediatamente trasformato sul piano
giornalistico in pandemia.
Un
processo a spirale
La
strategia del rinforzo politico-mediatico ha influito sulla “isterizzazione”
dell’epidemia, che a sua volta, ha giustificato le misure draconiane, che a
loro volta, hanno condizionato, il rinforzo politico-mediatico. Come si può
capire si tratta di un meccanismo a spirale, che autoriproduce se stesso, e
difficilmente può essere arrestato, neppure da una condizione oggettiva, per
così dire, di cessato allarme
epidemico. O comunque non subito. Perché esistono codici sociali di deferenza,
che impongono, la giustificazione ex post delle misure coercitive prese. Detto
altrimenti: nessuno vuole perdere la faccia.
Gli
scienziati come gruppo istituzionalizzato
Interessante
infine la posizione sociale degli
scienziati, che è cosa diversa dall’esercizio della scienza pura. Come ogni
gruppo sociale istituzionalizzato, gli scienziati, una volta investiti dal peso,
diretto o indiretto, delle valutazioni politiche, hanno uniformato le
valutazioni “scientifiche” ai desiderata del potere. Esemplare la posizione
dell’Oms, organizzazione burocratica per eccellenza, che di scientifico non ha proprio nulla.
Purtroppo
sono fenomeni inevitabili legati al ruolo sociale della scienza una volta istituzionalizzata, ruolo “politico”
che non ha nulla a che vedere con le discussione epistemologiche. Pertanto il coercizionismo cinese, nel suo
processo planetario di diffusione mimetica, ha potuto avvalersi del “placet”
della scienza medica (istituzionalizzata).
Conclusioni
I
processi sociali di diffusione di valori e comportamenti hanno natura mimetica.
Il che vale - nel bene come nel male -
per la diffusione del liberalismo ottocentesco e del totalitarismo
novecentesco, come oggi del conformismo
epidemico. Naturalmente la componente isterica di massa fa la differenza sul
piano dell’accettazione da parte della
gente di misure politiche,
semplificando, all’insegna del
“Costi quel che costi”. Quanto più l’isteria di massa è diffusa
tanto più diviene facile ottenere
obbedienza. Il che per il potere, soprattutto se animato da pulsioni autoritarie, è un fattore di legittimazione e stabilità.
Per
contro, una politica prudente e realista, diciamo liberale, dovrebbe sempre
evitare di ricorrere o addirittura alimentare l’isteria di massa come
forma di controllo politico e sociale. Purtroppo, quanto più ci si allontana
dai principi liberali, tanto più diventa difficile evitare di ricorrere al
“fattore isterico”. E gli effetti, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti.
Anzi “sarebbero” sotto gli occhi di tutti, perché in realtà l’isteria diffusa resta una forma di grave cecità politica collettiva.
Carlo Gambescia