Coronavirus e storici del futuro
La prima pandemia digital-populista
della storia
Sarà
interessante studiare, una volta superata questa grande fiction politica e
sociale sulla pandemia mondiale, il rapporto tra cultura catastrofista, ampiamente diffusa
nella nostra società, e la recezione dell’epidemia di Coronavirus.
A questa
relazione, ripetiamo, molto forte, abbiamo dedicato un capitolo di Passeggiare tra le rovine. Sociologia della
decadenza (II. “Pessimismo, il lato oscuro della decadenza” *), dove il
lettore potrà trovare dati statistici interessanti
In
buona sostanza, la visione del mondo pessimista, di cui sono imbevute le nostre società (come provano i dati, dalla cultura al costume), non aiuta né il comportamento razionale, né
la capacità decisionale. Il pessimista passivo
si abbandona al fato o allo stato, quindi, in quest'ultimo caso, a una specie di
individualismo protetto, il pessimista attivo, invece, come nostalgico credente in mitiche
utopie o distopie, privilegia al
complottismo o in seconda battuta una specie di individualismo apocalittico da fumetti per adolescenti.
Di conseguenza, soltanto in un clima culturale del genere potevano essere prese e accettate, da un giorno all’altro, misure durissime per la
libertà. Un' accettazione, soprattutto dei cittadini, altrimenti inspiegabile. Parliamo di decisioni prese da una classe politica non aliena da una visione pessimista ( nelle varie
sfaccettature appena ricordate). Senza dimenticare che, come ogni classe politica, a
prescindere dal regime, anche la nostra resta comunque tesa a puntellare il proprio potere con misure di tipo
preventivo, puntualmente motivate attraverso il principio di precauzione, rifondato per l’occasione sull’antico ricatto biopolitico (alle radici del
potere dell’uomo sull’uomo): in sintesi, chiunque non ubbidisca alle leggi, rischia di morire non per mano
dello stato ma per quella del virus.
Un
altro aspetto che sarà interessante studiare è quello della riproduzione
sociale del ciclo della paura. Capire come sia avvenuta la sua trasmissione psico-pandemica (parliamo della paura non del virus). Il processo è ovviamente quello emulativo-collettivo: resta sempre più facile imitare che creare. Per capirsi, si chiama anche istinto di gregge.
Qui però, probabilmente, si allinea la differenza - differenza nelle
reazioni politiche e sociali - rispetto
alle altre epidemie ( più o meno uguali, si pensi solo per il dopoguerra, all’asiatica negli anni Cinquanta del
Novecento). Differenza che rimanda a due fattori, il populismo e il ruolo dei social.
Il
populismo, che sembra ormai permeare l’intera cultura politica dell’Occidente,
tende in modo costitutivo a gestire ogni questione politica, sociale, economica, esasperandone i termini,
allontanandosi in questo modo dalla razionalità, anche procedurale, del dibattito pubblico liberale.
Con il rischio di conseguenze devastanti per le libertà dei cittadini. Il populismo vive di
capri espiatori, governa indicando un nemico, criminalizza le opposizioni,
semplifica scelte e decisioni appellandosi a una identificazione tra tutto il
popolo e tutta la classe politica. Non esistono oppositori, ma solo amici o
nemici del popolo.
I social hanno invece probabilmente svolto negli ultimi quindici anni il ruolo di “serra calda” o se si vuole di esplosivo contenitore dei peggiori istinti animali
populisti. Grazie a un gioco di azione e reazione, la tecnica del capro espiatorio
è così rimbalzata dai social alla politica, dalla politica ai social, moltiplicata dai meccanismi emulativi, dettando
l’agenda addirittura ai media tradizionali, che in pratica, si sono “socializzati”, imponendosi a una politica, continuamente
sotto tiro attraverso campagne violente
e intimidatorie. Una politica che a sua volta si esprime a colpi di tweet irriflessivi ed estemporanei, in chiave di "democrazia delle emozioni". Sulle nostre società si è abbattuta probabilmente una terribile tempesta digital-populista che ha contagiato perfino gli ambienti scientifici, e in particolare le sue propaggini istituzionali vicine al potere. Sicché, come proclamano ai quattro venti, politici e medici, sostenendosi a vicenda, ogni decisione deve essere presa in nome
del popolo, questa entità misteriosa, cara oggi come in
passato, a ogni dittatore e
demagogo.
Dinanzi al virus, il
mix tra populismo e digitalismo social ha probabilmente giocato un ruolo
importantissimo nel veicolare contenuti catastrofisti nel vuoto morale e prudenziale di classi
politiche populiste, semipopuliste o addirittura in disarmo politico. Classi politiche che, sia per puntellare il
proprio potere, sia per non scontentare, paradossalmente, aspettative catastrofiste, sia, dove al
governo, per non demotivare l’elettorato populista, hanno trasformato un’epidemia stagionale in una pandemia da film
apocalittico. Però dalle tremende conseguenze reali.
Le nostre, per ora, sono ipotesi. L’approfondimento spetterà a storici e sociologi che verranno dopo di noi, del futuro insomma. Quando sarà passata la tempesta, che si prevede lunga. Ovviamente, se vivremo ancora in una società libera.
Carlo Gambescia
(*)
Qui, per chi desideri approfondire: https://www.ibs.it/passeggiare-tra-rovine-sociologia-della-libro-carlo-gambescia/e/9788876066498