mercoledì 4 marzo 2020

Coronavirus e stato di polizia
Chi tace, acconsente…


Quel che sta accadendo a proposito del Coronavirus  rappresenta  una specie di  prova generale del graduale  slittamento  dell’Italia verso lo stato di polizia. O forse addirittura qualcosa di più. 
Si pensi  al comune e  inquietante atteggiamento autoritario di Governo e Opposizione,  nonché   al comportamento compiacente se non proprio servile  dei mass media  che spargono allarmismo a piene mani. Mentre sui social, infine,  dove si potrebbe tentare il ragionamento, almeno un inizio di ragionamento,  prevalgono le mitologie anticapitaliste e complottiste.    
Esageriamo? No.
Le misure annunciate, sebbene come raccomandazione (per ora), dalla distanza di un metro tra  persone alla cancellazione della stretta di mano fino all’autoreclusione in casa per gli over 75 o 65 se malati, provano ancora una volta che la paura  -  filone ideologico antico reiventato dai populisti … -  resta strumento potentissimo per ridurre il cittadino, nella sua singolarità, diremmo magnifica unicità, a servo  impotente del potere. 
Si rifletta: in questi giorni  il vero vincitore della secolare sfida  tra individuo e potere, valorizzata dal liberalismo moderno, non è certamente il cittadino-suddito ridotto all’impotenza,  ma  lo Stato Grande Fratello che limita le libertà dei singoli  evocando la necessità di  fare il   bene comune.
Si pensi ad esempio  al piano di finanziamento economico che il Governo sta perfezionando  (che l’Opposizione vorrebbe addirittura economicamente più congruo...),  sempre, come si legge,  per “aiutare” cittadini in nome del "bene pubblico"...    Parolone da volpi,  dietro le quali si nascondono le fauci  della  leonina logica  securitaria del  welfarismo.   

Bene comune, bene pubblico, sono parole che non hanno senso, se non quello di nascondere una mostruosa volontà di potenza - costante metapolitica -  che, di regola,  si fa sempre più forte e vorace man a mano che cadono ad una ad una  le resistenze sociali dell'individuo.  E dinanzi a che cosa?  Alla cosiddetta inevitabilità del male per difendere, come si ripete con la vocina flautata dell'Omino di Burro di Pinocchio, il bene comune. Mentre in realtà si tratta della difesa di puri e semplici  interessi predatori, a prescindere dal regime politico.  Come purtroppo sta accadendo.
Dicevamo  delle misure restrittive. Certo potremmo riderne (come  per la raccomandazione  di stare a un metro). Tuttavia le risate non potranno mai seppellire, come invece ripetono oramai stancamente vecchi e nuovi comici,  quella macchina complicata che si chiama potere: dove  si obbedisce  tacitamente al rispettivo superiore, e così via, dall’alto  verso il basso e viceversa, senza che nessuno si interroghi più sul contenuto degli ordini stessi.Chi tace  acconsente.  E quanto più la paura cresce e si diffonde tanto più si tace "perché è così", "perché tutti fanno così", "perché è giusto fare quello che fanno gli altri"… Si chiama dinamica totalitaria.
Dicevamo perciò di una prova politica generale per l’instaurazione di una dittatura.  Più precisamente, in che senso?  Prima una domanda: la "bolla" Coronavirus  si gonfierà? Si sgonfierà? Dal punto di vista di una sociologia del potere il  vero punto della questione non è questo.  E qual è allora? Che ormai potrebbe essere già troppo tardi,  perché improvvidamente si è messa in moto la macchina dell’autoritarismo politico e sociale. Pertanto, se la bolla si sgonfierà,  il fatto verrà presentato  come  un successo del Governo e dell'Opposizione,  tutti uniti,   nella condivisione (semplificando)  della  linea politica Grande Fratello: linea quindi "vincente" da replicare in futuro, alla prossima "emergenza".  Se invece non si sgonfierà,  la realtà che ci aspetta  potrebbe superare perfino quella descritta da Orwell  nel suo capolavoro. 

Come si può capire, comunque la si metta, la libertà di ogni singolo cittadino  rimane  a rischio.
Un'ultima domanda: una classe politica liberale, non liberalsocialista, idee queste ultime che molti spacciano per liberali, avrebbe  approfittato della paura da "emergenza" per  estendere il suo potere?  Forse sì, forse no. Diciamo che il liberale, il vero liberale,  tende sempre a mettere una bella distanza tra sé e il potere.  È anche vero però,  che il potere, per l'uomo politico di ogni colore,   è sempre  un potente afrodisiaco sociale.  Un potere che, come abbiamo  mostrato, risponde a leggi  proprie. Un potere  che tende ad assumere forza indipendente attraverso il  meccanismo sociale, tremendamente avviluppante,  dell’obbedienza, della deferenza e dell’emulazione.     
Insomma, il potere,  tende sempre  a concentrarsi  in poche mani, vuoi per una specie di sua inclinazione naturale, vuoi per i meccanismi psico-sociali della subordinazione collettiva. Sicché anche per un liberale non è mai facile opporsi a una delle regolarità metapolitiche più spietate e puntuali della storia e della sociologia: quella, ripetiamo, della  concentrazione del potere.  
Difficile però non significa impossibile.  Però il compito diventa tale  quando si è privi di una sincera cultura liberale,  come nel caso di  Conte, Di Maio e Zingaretti,  Salvini e Meloni.  
E purtroppo si vede.


Carlo Gambescia