Coronavirus e stato di polizia
Chi tace, acconsente…
Quel
che sta accadendo a proposito del Coronavirus rappresenta una specie di prova generale del graduale slittamento dell’Italia verso lo stato di polizia. O forse addirittura qualcosa di più.
Si pensi al comune e inquietante atteggiamento autoritario di Governo e Opposizione, nonché al comportamento compiacente se non proprio servile dei mass media che spargono allarmismo a piene mani. Mentre sui social, infine, dove si potrebbe tentare il ragionamento, almeno un inizio di ragionamento, prevalgono le mitologie anticapitaliste e complottiste.
Esageriamo?
No.
Le
misure annunciate, sebbene come raccomandazione (per ora), dalla
distanza di un metro tra persone alla cancellazione della stretta di mano
fino all’autoreclusione in casa per gli over 75 o 65 se malati, provano
ancora una volta che la paura - filone ideologico antico reiventato dai populisti … - resta strumento potentissimo per ridurre il
cittadino, nella sua singolarità, diremmo magnifica unicità, a servo impotente del potere.
Si rifletta: in questi giorni il vero vincitore della secolare sfida tra individuo e potere, valorizzata dal liberalismo moderno, non è certamente il cittadino-suddito ridotto all’impotenza, ma lo Stato Grande Fratello che limita
le libertà dei singoli evocando la necessità di fare il bene comune.
Si
pensi ad esempio al piano di finanziamento
economico che il Governo sta perfezionando (che l’Opposizione
vorrebbe addirittura economicamente più congruo...), sempre, come si legge, per “aiutare” cittadini in nome del "bene
pubblico"... Parolone da volpi, dietro le quali si nascondono le fauci della leonina logica securitaria del welfarismo.
Bene
comune, bene pubblico, sono parole che non hanno senso, se non quello di
nascondere una mostruosa volontà di potenza - costante metapolitica - che, di regola, si fa sempre più forte e vorace man a mano
che cadono ad una ad una le resistenze
sociali dell'individuo. E dinanzi a che cosa? Alla cosiddetta inevitabilità del male per
difendere, come si ripete con la vocina flautata dell'Omino di Burro di Pinocchio, il bene comune. Mentre in realtà si tratta della difesa di puri e
semplici interessi predatori, a
prescindere dal regime politico. Come purtroppo sta accadendo.
Dicevamo delle misure restrittive. Certo potremmo riderne (come per la raccomandazione di stare a un metro). Tuttavia le risate non potranno mai seppellire, come invece ripetono oramai stancamente vecchi e nuovi comici, quella macchina complicata che si chiama potere: dove si obbedisce tacitamente al rispettivo superiore, e così via, dall’alto verso il basso e viceversa, senza che nessuno si interroghi più sul contenuto degli ordini stessi.Chi tace acconsente. E quanto più la paura cresce e si diffonde tanto più si tace "perché è così", "perché tutti fanno così", "perché è giusto fare quello che fanno gli altri"… Si chiama dinamica totalitaria.
Dicevamo perciò di una prova politica generale per l’instaurazione di una dittatura. Più precisamente, in che senso? Prima una domanda: la "bolla" Coronavirus si gonfierà? Si sgonfierà? Dal punto di vista di una sociologia del potere il vero punto della questione non è questo. E qual è allora? Che ormai potrebbe essere già troppo tardi, perché improvvidamente si è messa in moto la macchina dell’autoritarismo politico e sociale. Pertanto, se la bolla si sgonfierà, il fatto verrà presentato come un successo del Governo e dell'Opposizione, tutti uniti, nella condivisione (semplificando) della linea politica Grande Fratello: linea quindi "vincente" da replicare in futuro, alla prossima "emergenza". Se invece non si sgonfierà, la realtà che ci aspetta potrebbe superare perfino quella descritta da Orwell nel suo capolavoro.
Come si può capire, comunque la si metta, la libertà di ogni singolo cittadino rimane a rischio.
Un'ultima domanda: una classe politica liberale, non liberalsocialista, idee queste ultime che molti spacciano per liberali, avrebbe approfittato della paura da "emergenza" per estendere il suo potere? Forse sì, forse no. Diciamo che il liberale, il vero liberale, tende sempre a mettere una bella distanza tra sé e il potere. È anche vero però, che il potere, per l'uomo politico di ogni colore, è sempre un potente afrodisiaco sociale. Un potere che, come abbiamo mostrato, risponde a leggi proprie. Un potere che tende ad assumere forza indipendente attraverso il meccanismo sociale, tremendamente avviluppante, dell’obbedienza, della deferenza e dell’emulazione.
Insomma, il potere, tende sempre a concentrarsi in poche mani, vuoi per una specie di sua inclinazione naturale, vuoi per i meccanismi psico-sociali della subordinazione collettiva. Sicché anche per un liberale non è mai facile opporsi a una delle regolarità metapolitiche più spietate e puntuali della storia e della sociologia: quella, ripetiamo, della concentrazione del potere.
Difficile però non significa impossibile. Però il compito diventa tale quando si è privi di una sincera cultura liberale, come nel caso di Conte, Di Maio e Zingaretti, Salvini e Meloni.
E purtroppo si vede.
Carlo Gambescia