Sul populismo
Tempi della politica e logica tribale
I
tempi della politica non sono i tempi
dei nuovi e vecchi media. Nel senso che l’implementazione delle decisioni politiche, soprattutto nei sistemi liberal-democratici
(ad esempio l’Europa occidentale è liberal-democratica, Cina e Russia no), non
sono mai immediate. Esistono procedure da rispettare, spesso però usate come risorse da tutte le forze politiche. Il che non facilita...
Sicché i tempi si allungano e il cittadino finisce per non ricordare e metabolizzare. Anche perché sommerso dalla veloce tempistica delle notizie e dei commenti. Un vero bombardamento mediatico incalza la gente comune fornendo scenari previsionali il più delle volte catastrofici, però romantici e avvincenti per i più. Sicché il serpentone informativo si morde la coda dell'audience. Più ha successo, più cresce l'inorientamento collettivo della percezione distorta della realtà.
Infatti, in
un clima del genere le reazioni collettive non possono che andare dallo scetticismo al pessimismo
per sfociare inevitabilmente nel disprezzo verso le procedure e la tempistica della liberal-democrazia. Di qui, la domanda, sempre più diffusa, di leader
decisionisti capaci di ignorare regole, oppure abili, fino addirittura a vantarsene, di sfruttare le procedure a proprio vantaggio. Il
populismo, che oggi sta travolgendo psichicamente la destra come la sinistra, si muove in
questa direzione.
Purtroppo non esistono rimedi, o ricette sicure per
combattere una deriva del genere. Anche perché
l’implementazione delle decisioni risente della complessità dei quadri sociali. Cioè - semplificando - della quantità di persone,
con status, ruoli e codici differenti coinvolte nel processo, prima di
discussione, poi di decisione e infine, come dicevamo, di implementazione. Insomma,
che oggi le comunicazioni, in senso
fisico, siano rapidissime, non significa che in senso sociologico sia mutato qualcosa. Anzi la
moltiplicazione delle specializzazioni, non presente in altre epoche, rende tutto più difficile sul piano sociale.
C'è però dell'altro. Se in passato la decisione di
un imperatore aveva effetto immediato, la sua realizzazione, risentiva dei
tempi lunghi del sistema comunicativo e organizzativo arcaico. Oggi invece la decisione
di un governo parlamentare, in fase ideativa, risente dei tempi
lunghi di discussione e approvazione. Quindi primo stop, per così dire. Dopo di che - ecco il secondo stop - nella fase applicativa, nonostante la modernità dei sistemi comunicativi e
organizzativi, la decisione risente del giudizio degli specialisti sul campo e di un' opinione pubblica oggi legata alla tempistica istantanea dei mass media e dei social.
Da
questa discrasia tra decisione e implementazione, che pur per ragioni differenti,
persiste in contesti storici diversi, nasce quel senso di impotenza, che pur con coloriture
ideologiche differenti, ha caratterizzato e caratterizza l’atteggiamento ieri del suddito oggi del cittadino.
Quindi
siamo dinanzi a una dinamica organizzativa e ideologica che attraversa la
storia umana. Ovviamente, quanto più la
catena di comando è ridotta e le
strutture organizzative limitate, tanto più i tempi tra decisione e
implementazione tendono a ridursi.
Una
tribù ha un potere di effettività delle sue decisioni di gran lunga superiore a
quello di una civiltà complessa. Storicamente parlando, fu questo il segreto, a
livello di antropologia sociale, dei Goti che premevano sul limes di Roma,
degli Arabi fermati a Poitiers, dei Mongoli che si spinsero fino alle frontiere
moscovite d’Europa, dei Turchi nella prima età moderna. Si chiama tribalismo.
Probabilmente
però, al di là della tribù in quanto tale, sussiste una
logica tribale transtorica ( o meglio metapolitica nella sua ricorrente opposizione all'universalismo). Quale? Quella dell’obbedienza
al capo che si presume dotato di superpoteri. Logica che implica, per effetto di ricaduta, una specie
di crescente frenesia mobilitante, che possiamo ritrovare in forme politiche moderne come
il nazionalismo, incarnatosi nel razzismo dichiarato di un capo mitizzato come Hitler. Logica che vive in simbiosi con il culto del superuomo. Ma che ha forza sociologica propria. Si pensi alla Grande Armée napoleonica - ma si potrebbe
risalire fino alle imprese di Cesare e Alessandro Magno - che procedendo di vittoria in vittoria, moltiplicò, a livello di gruppo sociale, il potere mobilitante dei soldati francesi e quello dell’effettività decisionale, incarnata dal capo mitizzato, Napoleone. effettività rafforzata dall'onda lunga dei rapidi successi. Fino a Mosca.
Concludendo,
dietro l’invito a “fare presto” e la retorica del “tutto e subito”, due finestre sociali che oggi distinguono la domanda politica populista, si affaccia lo sguardo maligno della logica tribale.
Che poi, per parafrasare Montesquieu, è
quella del selvaggio che per raccogliere la mela taglia l’albero.
Carlo Gambescia