Moltiplicazione delle poltrone
Magari si trattasse solo di questo…
Sulla sostituzione del Ministro Fioramonti con due
Ministri, Azzolina e Manfredi, la destra ha subito rinfacciato l’incoerenza di chi vuole tagliare le famigerate “poltrone”, e invece eccetera,
eccetera.
Certo,
il giochino delle poltrone è evidente. Al posto di un Ministro in quota Cinque Stelle, se ne sono
salomonicamente messi due in quota Cinque Stelle e Partito democratico. La
trovata è quella di dividere il Ministero della Pubblica Istruzione (o Scuola) da quello dell’Università. E così non scontentare
nessuno, salvando il precario equilibro
politico del governo in carica.
In
realtà non ci sarebbe nulla male,
perché scuola e ricerca sono mondi
differenti con esigenze diverse. Quindi
l’idea in sé, dal punto di vista organizzativo (e non dei puri risparmi), avrebbe un
suo fondamento.
Quindi
tutto a posto? No, perché dietro l’idea organizzativa si nasconde un’altra idea: quella di credere nel valore di un sistema di
istruzione e ricerca, accentrato e teleguidato dal ministero (o dai ministeri).
C’è
però dell’altro. La vera questione non è rappresentata dall’illusione dirigista,
ma soprattutto dalla credenza nel valore
catartico dell’istruzione e dell’educazione.
Insomma, il problema è nell’attribuzione di un senso metafisico di redenzione politica e sociale al possesso di diplomi e titoli. Detto altrimenti, nella falsa credenza che il titolo crei il cittadino. Che istruzione ed educazione siano la stessa cosa. Che razionalizzazione e libera scelta procedano insieme.
Un
popolo istruito e informato non voterebbe Salvini. Né avrebbe idolatrato
Togliatti, Stalin e Mussolini. Evidentemente, c’è qualcosa che non funziona sul piano dell'antropologia sociale: della percezione delle nozioni e cognizioni
collettive. L’istruzione, che è razionalizzazione, si risolve in uno
strato di vernice che non ricopre mai completamente la sostanza irrazionale che cova nell’uomo.
Sostanza che si può contrastare ( e mai chiave definitiva) solo con l'autoeducazione che è sempre frutto di libere scelte individuali, legate a intelligenza, sensibilità, eccetera. Doti non comuni, di pochi. Di qui, le distorsioni cognitive, l’idolatria, eccetera. Distorsioni che sembrano invece caratterizzare la maggioranza degli uomini. Che spesso l'istruzione, come mezza cultura imposta dall'alto e quindi mal digerita, peggiora.
Ciò
non significa che l’istruzione sia
inutile. Una società aperta ha necessità di figure e qualifiche. Come del resto
ricerca e studio sono fattori di progresso. Ci mancherebbe altro. L’aspetto pericoloso
è nell’idolatria dell’istruzione
e della ricerca. Idolatria - ecco il punto fondamentale - che determina quel che può essere definito il
circuito distorsivo della aspettative .
Si
ritiene che quanto più lo stato investirà in tale campo, tanto più ci si
avvicinerà alla perfezione, al cittadino e al lavoratore perfetti. Di conseguenza, ogni taglio agli investimenti
sociali in tale ambito, viene vissuto dagli elettori come un taglio al proprio
futuro. Di qui, da parte degli eletti, promesse,
deficit, tasse, accorpamenti, eccetera.
Insomma,
siamo davanti a un nodo che può essere
sciolto solo diminuendo le aspettative antropologiche e privatizzando i sistemi
di istruzione e ricerca. Ovviamente, senza
sconvolgere il ciclo pubblico della scuola primaria.
Misure
radicali. Che i partiti di destra e
sinistra difficilmente possono approvare, perché la politica, sembra ormai
reggersi solo sullo scontro tra idolatrie contrapposte. O meglio, come avrebbe detto Pareto, sembra fondarsi non
sul massimo di utilità per una
collettività, quindi sugli effetti riequilibranti della mano invisibile degli interessi individuali,
ma sul massimo di utilità di una collettività, concepito dall’alto, da
uomini che si ritengono illuminati, e
perciò presuntuosamente convinti di sapere cosa sia bene per ogni singolo cittadino. Una mostruosità sociologica.
Di
qui però, poiché le risorse sono limitate proprio perché tali, l’illusoria
promessa di moltiplicare
pani, pesci e ministeri…
Carlo Gambescia