Alessandro Campi, Matteo Salvini e i “doveri di
editorialista”
Politologia à la carte...
Invitiamo a leggere l’editoriale di Alessandro Campi, uscito oggi sul “Messaggero”, perché rappresenta un esempio di politologia che,
per dirla con Miglio, non ragiona “per
millenni”, neppure per secoli, forse
solo per anni e mesi, perfino giorni e minuti (*).
Insomma, parliamo di una politologia à la carte, schiacciata sul presente, attenta ai giochi di palazzo, soprattutto tesa a non inimicarsi i potenti del momento. E per questo, volontariamente, priva di qualsiasi prospettiva storica e qualità cognitiva. Spieghiamo subito perché.
Insomma, parliamo di una politologia à la carte, schiacciata sul presente, attenta ai giochi di palazzo, soprattutto tesa a non inimicarsi i potenti del momento. E per questo, volontariamente, priva di qualsiasi prospettiva storica e qualità cognitiva. Spieghiamo subito perché.
Politicamente parlando, nelle fasi di transizione democratica,
quando la democrazia liberale è in pericolo, fasi dunque piene di incognite, si fa largo un
approccio a doppio registro.
Si
affacciano sulla scena leader che evocano la pace sociale mentre in realtà aspirano alla
guerra e alla distruzione dell'avversario, tramutato in nemico politico. L'esatto contrario dei valori incarnati dal discorso pubblico liberale. Pensiamo a nefasti personaggi come Mussolini e
Hitler.
Il vero punto però, resta la
prospettiva. Ad esempio, anche Charles de Gaulle, durante la transizione alla Quinta
Repubblica applicò il doppio registro: fece promesse ai francesi di Algeria, illudendoli, per poi invece esaudire i desiderata del FLN. Però la sua prospettiva - ecco la differenza fondamentale - era di rafforzare la liberal-democrazia, non di
demolirla come Hitler e Mussolini.
Ora,
Salvini, politicamente parlando, è più
vicino a Charles de Gaulle o Benito Mussolini? Chi scrive pensa che una certa parentela, magari alla lontana, con il Duce vi sia.
Perciò prima di parlare di "bivio" e tattiche, la politologia, se onesta, e metapoliticamente fondata, non dovrebbe sottrarsi a una domanda
strategica come questa.
Quesito che rinvia, weberianamente, ai contenuti “raccomandati”: vuoi essere liberale? allora devi fare questo e questo; vuoi essere socialista? allora questo e quest'altro; e così via.... "Raccomandati", nella fattispecie, per evitare brusche fuoriuscite dalla democrazia liberale.
Quesito che rinvia, weberianamente, ai contenuti “raccomandati”: vuoi essere liberale? allora devi fare questo e questo; vuoi essere socialista? allora questo e quest'altro; e così via.... "Raccomandati", nella fattispecie, per evitare brusche fuoriuscite dalla democrazia liberale.
Dove
andiamo a parare? Ridurre, come fa
Campi, il doppio registro di Salvini a
una questione di retorica della comunicazione e di costruzione-gestione del consenso politico, facendo finta di non sapere che Salvini ignora, costitutivamente, l’Abc del discorso pubblico liberale, significa aprire una linea di credito. E a chi? Di certo non al “Generale”, ma a un “Capitano”, emulo, per quanto mediocre, di Mussolini. Attenzione, neppure di un Giannini, che in
fondo era un liberale vero, o di un Berlusconi, che lo era a metà o forse per un
quarto.
Fare
poi dei paragoni, con altre forze politiche europee di estrema destra, tentando di accostare in chiave di
modello da imitare la Lega
al Pis polacco, partito antisemita e
reazionario, significa semplicemente prendere per il naso i lettori.
Il
suo "amato" Raymond Aron, mai avrebbe aperto una linea di credito a personaggi come Salvini, per non parlare di Jaroslaw
Kaczynski. Del resto, il rapporto tra il
grande sociologo francese e il Generale,
che non era certo Salvini, fu non facile, spesso di opposizione o comunque controverso, come si legge nelle Memorie (Mondadori, p. 626). Insomma, c’e realismo politico e realismo politico,
come dimostriamo nel Grattacielo e il formichiere (**)
Ovviamente
a Campi, Aron serve soltanto per atteggiarsi
a quel liberale che non è. Altrimenti, per dirla sempre con Aron, Campi, “concepirebbe”
in ben
altro modo i suoi “doveri di editorialista”.
Carlo Gambescia