L'articolo del professor Dalmacio Negro ritorna sulle
“dimissioni” del Papa , aprendo però un’ inedita prospettiva schmittiana su una
questione aperta da secoli: quella dell’eterna lotta per le investiture
tra i due poteri, religioso e temporale. Di qui il suo grande interesse. Buona
lettura. (C.G.)
Le dimissioni del
Papa e l’eterna
lotta per le
investiture
di Dalmacio Negro
Le cause personali
delle dimissioni (dimittere,
rinuncia all’incarico) sono chiare. Ma perché il Papa non si è rimesso alla
volontà di Dio, come i suoi predecessori? I contrasti, gli intrighi, i
tradimenti, le invidie vanno sempre messi in conto quando si occupa una
posizione importante. E lo stesso si può dire delle divisioni interne al
clero e ai fedeli. Certo, se il Papa si fosse dimesso
per tali ragioni potrebbe essere ritenuto un irresponsabile. Ma, in
realtà, un Papa non può rinunciare alla sua missioperché vittima di disinganni,
disillusioni, insuccessi o disgusto. E né il teologo Ratzinger, né il Papa
Benedetto si sono mai comportati da irresponsabili.
Pertanto, la “grande decisione” di Benedetto XVI rinvia alla
logica dello stato di eccezione.
A suo tempo, Pierre Chaunu chiarì che l'inizio dell’inabissamento della Chiesa Cattolica andava ricondotto alla morte di Pio XII. Di riflesso, i fragili argini di un Concilio poco o nulla hanno potuto contro una tempesta che proveniva da lontano.Ecclesia semper reformanda: il Popolo di Dio, poiché sempre in cammino, spesso si è trovato a dover affrontare le ricorrenti crisi convocando un Concilio. Tuttavia il Vaticano II rappresenta qualcosa di eccezionale. E lo si può capire da quel che è accaduto dopo: Giovanni Paolo II ha cercato, con grande dispendio di energie, di mantenere sulla rotta giusta la nave di Pietro. Mentre Ratzinger ha provato a restituire dignità - chiarificandola - alla teologia. In certa misura, la sua missione ha dato frutti anche se alla fine le sue forze sono venute meno, come del resto il tempo per condurre a termine, si spera, quel grande compito, al quale, oggettivamente, non potrà sottrarsi il suo successore. È perciò prevedibile, vista la situazione, che si aprirà una nuova fase, molto intensa, dell’eterna lotta per le investiture tra l’ auctoritas della Chiesa e i poteri temporali
A suo tempo, Pierre Chaunu chiarì che l'inizio dell’inabissamento della Chiesa Cattolica andava ricondotto alla morte di Pio XII. Di riflesso, i fragili argini di un Concilio poco o nulla hanno potuto contro una tempesta che proveniva da lontano.Ecclesia semper reformanda: il Popolo di Dio, poiché sempre in cammino, spesso si è trovato a dover affrontare le ricorrenti crisi convocando un Concilio. Tuttavia il Vaticano II rappresenta qualcosa di eccezionale. E lo si può capire da quel che è accaduto dopo: Giovanni Paolo II ha cercato, con grande dispendio di energie, di mantenere sulla rotta giusta la nave di Pietro. Mentre Ratzinger ha provato a restituire dignità - chiarificandola - alla teologia. In certa misura, la sua missione ha dato frutti anche se alla fine le sue forze sono venute meno, come del resto il tempo per condurre a termine, si spera, quel grande compito, al quale, oggettivamente, non potrà sottrarsi il suo successore. È perciò prevedibile, vista la situazione, che si aprirà una nuova fase, molto intensa, dell’eterna lotta per le investiture tra l’ auctoritas della Chiesa e i poteri temporali
Mentre la Chiesa si va espandendo
negli altri continenti, nel mondo cristiano la religione è in declino. Le
defezioni e le forme di apostasia – che affliggono più intensamente il mondo
protestante – non sono, per ora, seguite da revivals sostenuti e favoriti da poteri
politici, culturalmente cristiani. Quanti e quali governi accettano o praticano
i principi, pur minimi, proclamati come irrinunciabili da Benedetto XVI? I
governi sono diventati i campioni della rivoluzione legale in atto; rivoluzione,
a sfondo nichilista, rivolta a cambiare radicalmente la cultura e la
civiltà cristiane. I governi hanno occhi e orecchie solo per la “questione
antropologica” (Benedetto XVI), che però si manifesta in quella “cultura
della morte” (Giovanni Paolo II), che rappresenta solo una delle sue
pericolose ricadute sociali.
In buona sostanza,
si tratta di una questione teologica, poiché il motore primo di questa
gigantesca rivoluzione culturale resta l’antica eresia della apocatastasi.
Secondo la quale tutte le cose umane tendono verso la riconciliazione finale
prima della parousía, la seconda venuta di Cristo,
dal momento che l’uomo sarebbe perfettamente in grado di instaurare, con
le sole proprie forze, il Regno di Dio sulla Terra. Tale eresia,
resa più forte dalle conquiste scientifiche e
tecniche, rimane la madre di tutte le ideologie e bio-ideologie
progressiste che agiscono come vere e proprie religioni secolari. Condannata
dal Vaticano II, resta senza alcun dubbio, la causa principale delle divisioni
interne alla Chiesa, della crisi del clero, della apostasia di massa, nonché
dell’atteggiamento dei poteri pubblici verso la religione cristiana e la Chiesa.
Queste ideologie si
sono affermate, stante la natura oligarchica di ogni forma di governo, puntando
sulla complessa soluzione della “questione sociale” . E in che modo?
Promettendo la salvezza in questo mondo.
Tuttavia, una volta
edificato lo “stato del benessere” da cui tutti si aspettavano grandi cose, la
rivoluzione culturale del Maggio del 1968, in coincidenza con la chiusura del
Vaticano II (1962-1965) sollevò, alzando il tiro, la “questione antropologica”.
I suoi seguaci aspiravano e aspirano, in modo ancora più radicale, alla
trasformazione della natura umana. Cosicché le intense dispute in argomento
sono inevitabilmente finite al centro dell’agenda politica. Il che ha
causato l’ accantonamento della “questione sociale”, fatto abbastanza
prevedibile, considerata la natura amorale e biecamente oligarchica delle
classi governanti, prontissime ad usare la “questione antropologica” per sviare
l’attenzione dai fallimenti e così consolidare le proprie posizioni,
presentandosi come liberatrici degli uomini da inutili pregiudizi
ancestrali .
La civiltà
occidentale, nella sua essenza cristiana, è opera della
Chiesa, istituzione oggi minacciata dalla politica.
La Chiesa si trova perciò davanti a un bivio. Rimane
quindi comprensibile, che dinanzi alla prospettiva di un serrato
confronto con i poteri pubblici, il Papa abbia prudentemente pensato a un
successore capace di affrontare il prevedibile kulturkampf :
una lotta per la cultura e la civiltà, che
inevitabilmente passa attraverso il perseguimento
dell' auctoritas.
Insomma, siamo dinanzi a un nuovo capitolo dell’eterna lotta per le
investiture.
La prudenza è
virtù politica per eccellenza. La
Chiesa , comunità spirituale (communio )
dei fedeli intorno a Cristo, non è politica né antipolitica. Benché, e
senza alcun dubbio, quale "contromondo" nel
"mondo" sia velis nolis la più politica fra tutte le
istituzioni. (trad. di C.G., rev. del testo spagnolo per l'ed. it. di
J.M.)
Dalmacio Negro
Dalmacio Negro è
professore emerito di "Historia de las Ideas y Formas Políticas"
presso l’Universidad Complutense (Madrid), nonché membro della
Real Academia de Ciencias Morales y Politicas. Tra i suoi numerosi libri: Gobierno y Estado, El Liberalismo en España, La tradición liberal y el estado, El mito del hombre nuevo, Historia de las formas del Estado.
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