Un breve preambolo. Per i controrivoluzionari dell’Ottocento
le costituzioni, come testi scritti dagli uomini, erano autentici
attentati al volere di Dio e contro la naturale costituzione
politico-gerarchica della società. Mentre per i liberali le
costituzioni rappresentavano un meccanismo, sempre più perfetto,
per imbrigliare il potere e difendere le libertà
degli uomini. Dopo di che però nacquero i grandi partiti socialisti
e cattolici democratici e le costituzioni divennero nel Novecento
strumenti per mutare a colpi di megalomania la società,
oppure per reintrodurvi elementi di cristianesimo sociale, come nel
caso del diritto al lavoro; diritto, ovviamente, condiviso e
promosso anche dai socialisti.
Del resto senza libera iniziativa economica, di questo o
quell’imprenditore, non possono "fiorire" posti di lavoro. E
senza il lavoro dipendente non possono "nascere"
imprese. Pertanto hanno ragione sia la destra che la
sinistra perché il diritto al lavoro non esclude il
diritto alla libera iniziativa e viceversa. Soltanto che a
vincere in quel freddo dicembre del 1947 furono le forze di
centrosinistra… Probabilmente, proprio per evitare, i successivi e
giustificati tentativi di rivincita della destra, sarebbe stato meglio,
all’epoca, limitare l’articolo 1 dei Principi fondamentali al secondo comma:
«La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione». Tuttavia, la destra, incluso il grosso
dei liberali, aveva perduto la guerra. E le costituzioni
riflettono, anche all'interno della stessa nazione, i rapporti di
forza politici tra vincitori e vinti. E spesso, purtroppo, si
vuole non solo vincere ma stravincere...
Carlo Gambescia
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