Il Dracula
del titolo rinvia al famigerato Vincenzo
Visco, Ministro dell’ Economia e delle Finanze di svariati governi targati centrosinistra. Insomma, secondo
l’amico Teodoro Klitsche de la
Grange (*), al peggio
non c’ è mai fine… Buona lettura (C.G.)
Aridatece
Dracula…
di Teodoro
Klitsche de la Grange
Il recente “dibattito” sulla compensazione tra debiti
e crediti verso lo Stato è uno (dei tanti) sintomi di come l’Italia non sia un
paese “normale”. E tra i tanti segnali in tal senso, uno dei più potenti,
perché rivela quanto, nei discorsi della “classe dirigente” la parola serva ad
occultare quanto si pensa (e si vuole).
Cominciamo quindi col chiarire le parole (nella specie
gli istituti giuridici): la compensazione è un modo d’estinzione delle obbligazioni
(anche quelle pecuniarie, tra cui imposte, tasse et similia), che da millenni fa parte del diritto, ed è
disciplinato dagli artt. 1241 ss. del codice civile italiano vigente. Si
verifica quando vi sono obbligazioni reciproche tra due persone (Tizio deve a
Sempronio 10.000,00 euro; Sempronio a Tizio 5.000,00); si verifica solo tra
debiti e crediti omogenei, liquidi ed esigibili (art. 1243 c.c.); se volontaria
(cioè consensuale) anche se non ricorrono i presupposti di legge. É
d’applicazione generale ma il codice prevede (art. 1246 c.c.) che possono
esservi divieti stabiliti da apposita legge. Soltanto che, in materia fiscale,
non era ammessa, se non in casi rari.
Fu tuttavia ammessa assai più largamente, ma solo tra
debiti e crediti fiscali (pensate un po’) dal ministro Visco, che in
quell’occasione non si comportò da Dracula ma da persona di buon senso. Ne
deriva quindi che non si applica se tra lo Stato e il contribuente vi siano
debiti e crediti non fiscali.
Scusate per la necessariamente sintetica lezioncina,
ma a quanto pare non è chiaro quanto sopra, malgrado noto anche ai banchi delle
facoltà di giurisprudenza, da (gran) parte degli intervenuti nel dibattito.
A cominciare – a quanto si legge sulla stampa – dal
prof. Mario Monti che avrebbe (o ha, il condizionale è d’obbligo per l’omaggio
alla serietà del premier) espresso sdegno, tra l’altro, verso chi propone di
“istituire personali e arbitrarie
compensazioni tra crediti e debiti verso lo Stato”.
Ora, dato che la compensazione è istituto bimillenario,
reso di portata generale almeno da Giustiniano in poi, è un tantino fuor di
luogo definire “personale ed arbitrario” quanto praticato tranquillamente da
almeno quindici secoli (e giriamo comunque lo sdegno del prof. Monti a
Giustiniano). Che, se poi si volesse dar ad intendere che darebbe la stura a
pretese infondate (ossia basate su crediti incerti o ancora non esigibili) è
chiaro che questo non è consentito né prescritto dalla vigente disciplina
giuridica della compensazione, neanche tra privati.
In realtà nell’uscita del premier appare chiaro il retropensiero:
se si ammette la compensazione anche con i crediti extratributari, il gettito
diminuisce. Ma è (anche) con ragionamenti del genere che siamo arrivati ad
avere il deficit astronomico che abbiamo:
perché, al contrario, pagare i debiti fa calare il deficit (che è una somma di debiti) esistente, anche se, nel breve
periodo può creare problemi di cassa; per risolvere i quali la soluzione non è
non pagare (non estinguere) le obbligazioni passive (i debiti), ma commisurare
le spese alle disponibilità. Anzi i debiti non pagati, come sa qualsiasi
liquidatore di compagnia d’assicurazione - specie se modesti - s’incrementano
in misura superiore al saggio d’interesse, per via di spese legali, danni ulteriori,
interessi e così via, incrementando il deficit
reale. Non sono un risparmio, ma un cattivo affare.
Ma anche gli altri partecipanti al dibattito non hanno
contribuito a chiarirlo. Ad esempio l’on. Alfano che ha parlato di
compensazione tra lo Stato e gli imprenditori. Dove se si capisce la
sollecitudine del segretario del PDL per i bacino elettorale, non si comprende
per quale ragione, tra tutti i creditori dello Stato, gli imprenditori
dovrebbero avere un trattamento preferenziale. Quello che verrebbe così negato
a pensionati, dipendenti, professionisti, ecc. ecc. (non meno meritevoli degli imprenditori),
perpetuando quel cattivo modo di governare che si concreta non nel trattamento
uguale per tutti (coloro che si trovano in quella situazione) ma nella
distribuzione di privilegi per categorie. Che, quindi, innegabilmente suscitano
l’invidia (e financo il montiano “sdegno”) tra gli esclusi. Avrebbe fatto
meglio l’on. Alfano a chiedere semplicemente che si applicasse al rapporto
debiti/crediti tra cittadini e Stato la disciplina comune, cioè quella del
codice civile. Cosa peraltro che ha chiesto l’on. Matteoli che, correttamente,
ha parlato di “crediti verso la pubblica amministrazione”.
Qualche sorpresa desta pure la dichiarazione della
dr.ssa Marcegaglia: la quale non appare particolarmente entusiasta per la
possibilità di compensazione; a cui sembra preferire l’aumento di finanziamenti
alle imprese. Anche in tal caso la preferenza appare spiegabile solo se si
predilige danaro erogato in base a scelte (altamente) discrezionali al posto di
regolazione di crediti del tutto vincolate.
Cosa hanno in comune certe dichiarazioni, di
personaggi così diversi, ma appartenenti tutti alla classe dirigente? Una
risposta ce la può dare Guicciardini e la sua convinzione che gli italiani, e
soprattutto le classi dirigenti italiane pensassero soprattutto al
“particulare”. Particulare è pensare alle esigenze degli imprenditori (e non di
tutti i creditori); particulare è pensare all’esigenza di “cassa” degli enti e
non a quella della generalità alla riduzione del debito pubblico; “particulare”
a quello degli imprenditori in grado di accedere ai finanziamenti pubblici.
Qualche secolo fa, a furia di ricercare il proprio
particulare, le classi dirigenti italiane consegnarono gran parte della
penisola al controllo (diretto) della Spagna.
Segno che la Storia, contrariamente al vecchio detto,
non insegna niente.
Teodoro
Klitsche de la Grange
Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura
politica "Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo
specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio
Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno
dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).
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