«Socialismo
comunitario».
Caro Binaghi,
l’onere della prova spetta a te…
Ammiriamo veramente la grande attenzione, quasi una dedizione, dell' amico
Valter Binaghi (nella foto), scrittore e insegnante, verso lo studio dei
“massimi sistemi”. E in particolare colpisce la sua sincera volontà di proporre
vie d’uscita, confrontandosi con tutti e proponendo spunti sempre interessanti.
Ieri l'altro, partendo da un articolo di Gallino sulla crisi, Binaghi ha
introdotto alcuni concetti che meritano di essere discussi, anche se solo per
accenni. Ma, per correttezza, lasciamo a lui la parola :
..
«Quel che immagino io è la costruzione condivisa di un’idea
di comunità, di giustizia e di sobrietà che le epoche passate non potevano
nemmeno rappresentarsi ma che per noi sarebbe tutt’altro che un regresso: una
sintesi vitale.In definitiva, quel che sostengo è che autonomia e controllo
(anche dei bisogni) sono la strada per la libertà. Ezra Pound diceva che una
nazione senza debiti fa rabbia agli usurai. Aggiungo che una sobrietà
consapevole fa rabbia agli spacciatori di sogni. E con questo mando a fare in
culo politica e pseudocultura degli ultimi quarant’anni, non per tornare agli
anni cinquanta ma per togliermi di dosso le sanguisughe che mi uccidono». (
https://valterbinaghi.wordpress.com/tag/socialismo/ )
.)9).
Binaghi parla di «costruzione condivisa di un’idea di comunità, di
giustizia e di sobrietà» (primo concetto, ovviamente da scomporre); di
«autonomia e controllo (anche dei bisogni)» (secondo concetto), riconducendo la
sua proposta nell’alveo ideologico del «socialismo comunitario» ( terzo
concetto).
Alcune domande: cosa si intende per «costruzione condivisa»? Un progetto da
decidere all’unanimità? A maggioranza assoluta? Qualificata? Semplice?
Relativa? E attraverso quali future istituzioni politiche? E quale sarà la
sorte delle minoranze dissenzienti, visto che in “natura” sociale e politica
esistono tante idee di comunità, giustizia, sobrietà, quanti sono gli uomini. E
quale potrà essere il ponte istituzionale tra «costruzione condivisa» e
«autonomia e controllo (anche dei bisogni)»? Il «socialismo comunitario»? E, ripetiamo,
quale sarà la sorte del non conformista ? Lo si costringerà ad essere libero
rieducandolo ? E come? Obbligandolo a frequentare scuole di «socialismo
comunitario»? E coloro che rifiuteranno di andare a scuola? Che sorte avranno?
Campi rieducativi?
Probabilmente i nostri dubbi nascono da un’antropologia imperfettista e dalla
conoscenza - ci si perdoni l’immodestia – delle leggi o costanti del politico.
Parliamo di "conoscenza riflessa", frutto dell'intenso studio dei
classici del realismo politologico. Il che non implica la negazione del
progresso (o del regresso...) nelle vicende umane, ma soltanto la necessità (
in certa misura etica, soprattutto nell'intellettuale di professione, per dirla
con Weber), di non eccitare ex cathedra gli animi, scongiurando salti nel buio.
Naturalmente, si tratta di una posizione antropologica e cognitiva, totalmente
diversa - crediamo - da quella che anima Binaghi. Ovviamente, potremmo essere
in errore: nessuno è perfetto. E conosciamo benissimo il rischio che corre ogni
realismo: quello di essere usato e trasformato - certo, da altri, più in alto
di noi - in egoistica difesa dello status quo. Però, ecco il punto, sul piano
dell'analisi teorica l’onere della prova contraria, cioè di provare sulla base
di dati storici e politologici l’erroneità del nostro approccio, attento in
primis alle modalità isituzionali della trasformazione e alla difesa delle
minoranze dissenzienti, spetta a chiunque auspichi il mutamento. O, se ci si
perdona la "battutina", il vero e proprio ritorno al bosco. Proprio
come sembra suggerire amico Valter Binaghi...
Carlo Gambescia
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