Siamo
d’accordo con l’acuta - e sempre gustosa da leggere - analisi dell’amico
Teodoro Klitsche de la Grange sul “modo” di scrivere libri e articoli del “professor” Galimberti (nella
foto) . Meno a proposito del "tormentone" sull' irresistibile
egemonia della cultura di sinistra. Che se pure vi è stata - nessuno lo nega -
è anche dipesa dalla pochezza culturale della destra dopo il 1945, e a tutti i
livelli politici: dai cattolici ai liberali, passando per tradizionalisti e
persino neofascisti. Il che spiega - certo, in parte - le ragioni dei
successivi fallimenti politici del Pdl e di un’intera area culturale. Come
pure, per contro, aiuta a capire i successi editoriali di personaggi alla
Galimberti. Insomma, troppo facile - ci scusi l'amico Teodoro - prendersela
esclusivamente prima con Gramsci, poi con i maneggioni di sinistra (pure capaci
di fare la morale a tutti...) e con il "partito" delle trentamila
professoresse che leggono la
Repubblica , manco fosse quella platonica... Qui, ripetiamo, è
mancata una vera cultura di destra, capace di riunire e interpretare tutte le
varie anime ad alto livello. E soprattutto contrastare degnamente quella
progressista. Gli unici a intuirlo furono l'editore Rusconi e Alfredo Cattabiani
all'inizio degli anni Settanta del secolo scorso. Ma questa è un'altra storia.
Buona lettura. (C.G.)
Ancora su Umberto Galimberti…
di Teodoro Klitsche de la
Grange
La recensione (*), scritta dall’amico Carlo del libro di
Francesco Bucci “Umberto Galimberti e la mistificazione intellettuale” sul modo
del prof. Umberto Galimberti di scrivere i libri, stimola qualche
considerazione.
Premetto che non ho avuto occasione di leggere il libro di Bucci: ho letto
diversi articoli che ne parlano, spesso riportando alcuni passi “incriminati”
perché scritti da altri autori, trascritti senza virgolette né l’indicazione
della fonte (cioè copiati), ovvero di “prima mano” ma utilizzati in più libri
per commentare il pensiero di filosofi (diversi e distanti), con un sospetto
copia-incolla fuori luogo (proprio per l’eterogeneità dei pensatori). E ho
letto un paio di libri di Galimberti. Questo, e la circostanza di non aver
letto smentite dei “fatti” (le suddette copiature e utilizzazioni plurime) mi
induce a pensare che quanto scritto dal Bucci sia verosimile e, almeno
probabilmente, fondato. Anche per un’altra considerazione.
Galimberti è uno scrittore accattivante e garbato; oltretutto è chiaro, ed ha
una scrittura piana com’è opportuno – anzi doveroso - per un insegnante. Tali
qualità lo rendono un valido comunicatore, un trasmettitore di pensiero
(altrui); e con ciò un giornalista (da quotidiano o da periodico). Queste doti
ne fanno un ottimo “prodotto” per l’industria culturale; per la quale – come
per qualsiasi impresa – vale il principio che non è tanto importante quello che
è scritto, ma che sia venduto. E nello stesso tempo l’impresa ha la necessità
di impreziosire il prodotto, presentandolo come il migliore sul mercato: per
cui un bravo insegnante diventa un grande pensatore, un esperto violinista
eccellente compositore, e così via. La logica del mercato prevale su quella
della cultura: il “marketing” applicato all’arte moderna lo ha provato nel modo
più evidente. Addirittura promuovendo ad arte quello che spesso è solo astuta
provocazione; e che lo diventa (arte) grazie a un ben collaudato meccanismo di
mostre, premi, articoli agiografici e critiche compiacenti. É una storia che si
ripete tutti i giorni e per tanti “prodotti”. E che, almeno in Italia, ha una ragione
in più. Che è l’egemonia, teorizzata da un acuto pensatore come Gramsci e da
allora sempre praticata dalla sinistra a dispetto, prima, della mediocrità dei
prodotti, e da vent’anni addirittura dall’implosione dello scopo di quella: il
potere del “moderno Principe” e dell’ideologia di riferimento, crollata
dall’Elba al Mar Giallo. Alla quale si è trovato un surrogato nel moralismo
anti-berlusconiano, che consente agli ideocrati (e compagni di strada) di
legittimare una propria (pretesa) superiorità morale fondata non sulla
liberazione dell’umanità, ma sulla scostumatezza del nemico. Questo mélange
d’egemonia ed industria culturale è quello che ci propone (in primo luogo, ma,
tutto sommato, non esclusivamente) la sinistra post-comunista, che così coniuga
l’obiettivo di reggere in piedi una classe dirigente archiviata dalla storia
(gli “zombi” di Cossiga) con quello di far soldi, illudendosi (forse) e
sicuramente illudendo, di fare pure del bene. In una logica così del tutto
capitalista, se è vero che un detto americano recita che i quaccheri vennero in
America per far del bene e finirono per far dei soldi. Lezione ritornata sotto
i nostri cieli, dai quali era partita.
Teodoro Klitsche de la Grange
Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica
"Behemoth" (http://www.behemoth.it/
). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il
Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno
dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).
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