Il libro della settimana. Roger Scruton, Il bisogno di nazione, Le Lettere,
Firenze 2012, pref. di Francesco
Perfetti, pp. 98, euro 10,00.
Ogni
volta che leggiamo un volume di Roger
Scruton, filosofo conservatore inglese,
ci interroghiamo, e con rammarico,
sul perché nell’ Italia di
oggi manchi a destra un pensatore
altrettanto brillante ed erudito. Probabilmente, perché in Italia c’è poco da
conservare… Quanto alla destra, meglio soprassedere…
Del
resto, per ritrovare un grande conservatore, senza dover andare a ritroso fino agli elitisti italiani (in
primis la triade, Pareto, Mosca Michels),
si deve risalire al liberale Benedetto Croce, grande erudito, ma non sempre
brillante, scomparso nell’anno di grazia
1952. Per contro, il poliedrico, e più
giovane (si fa per dire), Giuseppe Prezzolini, autore tra l’altro del celebre Manifesto dei Conservatori, pubblicato nel 1972, va catalogato
come brillante ma non erudito. E
dopo Prezzolini, in campo conservatore, “scese”
il silenzio… O ancora peggio, qualche decennio dopo, “discese” Silvio Berlusconi…
Ma
lasciamo perdere le tristezze della politica, e torniamo a Scruton e alla sua ricchezza di pensiero. Ad esempio,
Il bisogno di nazione (Le Lettere) è un aureo
libretto, fresco di stampa, che
andrebbe letto immediatamente solo per
il valore del capitolo 7: “Oicofobia”. Che cosa significa, si chiederà il lettore?
Indica il ripudio del “bisogno di nazione”
di cui parla il titolo. Ma lasciamo la parola a Scruton: « Questo
ripudio è il risultato di una
particolare costruzione mentale che è emersa in tutto il mondo occidentale a
partire dalla Seconda Guerra Mondiale e che prevale, in particolare, fra le
élite intellettuali e politiche. Non c’è parola che descriva adeguatamente
questo atteggiamento, benché i sintomi siano facili da riconoscere: la disposizione durante qualunque conflitto, a
schierarsi con “loro” contro di “noi” e il bisogno di denigrare i costumi, la
cultura e le istituzioni che sono identificabili come “nostre”. Poiché si
tratta dell’opposto della xenofobia, propongo di chiamare questo stato mentale “oicofobia”, termine con quale
intendo (forzando un po’ il greco) il ripudio dell’eredità e della casa. L’oicofobia
è uno stadio attraverso il quale passa, normalmente la mente degli adolescenti. Ma è uno stadio nel
quale alcune persone - specialmente gli intellettuali - tendono a rimanere
arenati (…) . Un “oico” ripudia le fedeltà nazionali e definisce i propri
obiettivi e i propri ideali contro la nazione, a scapito dei governi nazionali
accettando e supportando le leggi che ci vengono imposte a cominciare
dall’Unione Europea o le Nazioni Unite, senza preoccuparsi di considerare la
domanda di Terenzio (sic) [ Quis
custodiet ipsos custodes? Giovenale,
ndr], e definendo la sua visione politica in termini di valori
universali purificati di ogni
riferimento al particolare attaccamento di una reale comunità storica. Ai
propri occhi l’ “oico” è un difensore dell’universalismo illuminato, contro lo
sciovinismo locale» (pp. 74-75-77).
Chiaro
no? Ad esempio, e per venire all’Italia, Umberto Eco è “oico”, come, passando
alla politica, lo è il Presidente
Napolitano. E così via… Scruton, attraverso questo concetto, al tempo
stesso erudito e brillante, ci permette
perciò di capire quel che sta accadendo
in casa nostra. Ciò significa, per fare
un altro esempio, che la
Lega Nord è due volte xenofoba. Perché oltre a
non sentirsi parte di quel “noi” ( e uno), avversa ( e due) italiani del Sud e immigrati di ogni parte del mondo.
Ma
cos’è la nazione per Scruton? «Per nazione intendo un popolo insediato in un
dato territorio che condivide istituzioni, costumi e uno stesso senso della
storia, e include coloro che considerano se stessi come ugualmente impegnati a
rispettare il proprio luogo di residenza e il sistema politico e legale che lo
governa. I membri di una tribù si considerano fra loro come parti della stessa
famiglia; i membri delle comunità basate sul credo religioso si considerano dei
fedeli; i membri delle nazioni si considerano come vicini di casa. Pertanto, è
vitale al senso di nazione l’idea di un territorio comune nel quale ci siamo
tutti insediati e che tutti abbiamo identificato come la nostra casa» (33-34).
Il
che significa che è sempre necessario distinguere tra fedeltà nazionale e
nazionalismo, come portato di tribalismi, antiche e moderni, religiosi o meno.
« La fedeltà nazionale, prosegue il filosofo inglese - implica un amore per la propria terra natale e
l’essere pronti a difenderla. Il nazionalismo è l’ideologia della belligeranza,
che sfrutta i simboli nazionali per
arruolare le persone alla guerra». E qui Scruton, cita l’Abate Sièyes, come il padre di tutti
nazionalismi moderni: « Quando l’Abate (…) dichiarò gli intenti della
Rivoluzione francese, lo fece con il linguaggio del nazionalismo. “La nazione esiste prima di ogni cosa, essa è
l’origine di tutto. La sua volontà è sempre conforme alle legge (…). Comunque
la nazione voglia è sufficiente che essa voglia; tutte le forme sono buone e
il suo volere è sempre legge suprema”. Queste parole - sottolinea Scruton
- esprimono proprio l’opposto del vero
spirito di fedeltà nazionale (…). In breve, questo tipo di nazionalismo non è fedeltà nazionale, ma una
fedeltà religiosa mascherata con abiti di fedeltà territoriale (pp. 43-44).
Di
qui la diffidenza del pensatore inglese per tutte le forme di illuminismo totalitario che vanno
dal nazionalismo esasperato, inaugurato da Sièyes, a un trans-nazionalismo altrettanto radicale, veicolato da istituzioni come le Nazioni
Unite, l’Unione Europea, il WTO. Ma lasciamo di nuovo la parola al filosofo
inglese: «Gli esempi che ho preso in considerazione illustrano la profonda
incompatibilità fra legislazione transnazionale
e la sovranità nazionale. E
mostrano anche quanto sia pericoloso che delle assemblee che non sono elette
dai popoli pretendano di dettare leggi ai parlamenti nazionali. Un parlamento
nazionale è responsabile verso le persone che l’anno votato e deve servire i
loro interessi. Deve sforzarsi di conciliare le diverse rivendicazioni
che gli si pongono innanzi, bilanciare
una rivendicazione con un’altra e raggiungere
una soluzione che permetta alle persone di vivere in armonia come
vicini. Un’assemblea transnazionale non ha bisogno né può obbedire a nessuna
costrizione» . Di qui l’inderogabile nesso, ben sottolineato da Scruton, tra nazione e democrazia, Dove si appanna
l’una rischia di sparire anche l’altra.
Profetico. Il Bisogno di nazione, uscito in edizione
originale nel 2004, sembra scritto oggi, soprattutto alla luce dei cosiddetti
“commissariamenti” di alcune nazioni
europee, Italia compresa. Da molti osservatori, definiti, come vere e proprie
sospensioni della democrazia.
Nessuna
speranza? Scruton, da buon «conservatore pragmatico», per dirla con lo storico Francesco Perfetti, autore della
notevole Prefazione, scorge
una via d’uscita nel processo
stesso, seppure minaccioso, diciamo così, di transnazionalizzazione Quale? «Poiché le
istituzioni che ci fanno pressioni perché accettiamo le loro prescrizioni
legislative - le Nazioni Unite, il WTO, l’Unione Europea - sono sprovviste di braccio militare efficace,
il prezzo da pagare per contestarle, sarebbe rapidamente superato dal
beneficio. Invece, il prezzo da pagare per seguire le loro prescrizioni
provocherà la completa sparizione della fedeltà nazionale. Queste istituzioni,
a loro volta, vivono in modo parassitario rispetto alla fedeltà nazionale e non
potrebbero sopravvivere senza di essa. Pertanto, sia che seguiamo le loro
prescrizioni, sia che le contestiamo, le istituzioni transnazionali sono
destinate a scomparire». Perciò, secondo Scruton, «la via più saggia da seguire
è quella di assicurarsi che le nostre giurisdizioni territoriali sopravvivano
alla crisi: in altre parole dobbiamo aggrapparci a ogni costo al senso di nazione» (p. 93).
Analisi
e ricetta, queste ultime in particolare sicuramente condivisibili. Ma come la
mettiamo con gli “oici” italiani? Che
sono tanti e contano? L’Italia,
purtroppo, non è il Regno Unito. Anzi, diciamo
pure che è una Repubblica disunita, soprattutto oggi. Comunque
sia, grazie, basta il pensiero professor
Scruton.
Carlo Gambescia
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