lunedì 10 ottobre 2011

Oggi pubblichiamo l'interessante post su Steve Jobs dell’amico Carlo Pompei, eccellente grafico editoriale e altro ancora . Il suo sguardo è prezioso perché descrive “laicamente”, e dall’interno, quel che rappresentò, e continua a rappresentare, per gli addetti ai lavori la “Apple Revolution”. Perché, piaccia o meno, con la morte di Steve Jobs il mondo perde un uomo di genio. Del resto il padre del "Mac", vivendo nel XX Secolo, non poteva non incarnare la figura dell’imprenditore schumpeteriano per eccellenza, ossia del geniale innovatore, necessario volano di un sistema, quello capitalistico, che ovviamente come ogni altro universo umano va storicizzato e non demonizzato. Anche perché se Steve Jobs fosse vissuto in un' altra età storica chissà cosa sarebbe diventato... Sicuramente un uomo importante, perché il genio finisce sempre per emergere. Ma chissà in quale campo... D'altra parte, l'approfondimento di questi aspetti (genialità, peso della storia, destino, capitalismo), porterebbe troppo lontano... E, per contro, il solo accennarvi non implica alcuna condivisione dei peana post mortem , nè delle denigrazioni di certo anticapitalismo straccione. Nelle analisi delle grandi personalità, anche imprenditoriali, occorrono invece prudenza e maturità di giudizio. Di qui la necessità, che in futuro tornerà ancora più utile, di dare a "Cesare Jobs" quel che è di "Cesare Jobs" e al capitalismo quel che è del capitalismo. In proposito, si veda anche il bel post, molto equilibrato, dell’amico Valter Binaghi ( http://valterbinaghi.wordpress.com/2011/10/08/facciamoci-del-bene4-con-un-omaggio-allintelligenza/ ). Dove tra l’altro, riprendendo alcune osservazioni di un comune amico, Riccardo De Benedetti, Binaghi critica, e giustamente, certe ridicole ricostruzioni marxiste-leniniste, alla Wu Ming per intendersi: patetiche denigrazioni di Steve Jobs, che fanno il paio con le untuose celebrazioni post mortem, cui accenna anche Carlo Pompei. Buona lettura. (C.G.)




Grazie, Steve…
di Carlo Pompei


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Quando, nel 1984, ci fu il lancio dell’Apple Macintosh (allora nessuno lo chiamava confidenzialmente “Mac”) con il famoso spot orwelliano mandato in onda durante la finale del SuperBowl, ci incuriosì a tal punto che, stanchi di righe e righe di programmazione su monitor neri a fosfori bianchi o verdi, ci si ripropose di acquistarne uno non appena fosse stato commercializzato in Italia. Così non fu, perché a 18 anni si hanno pochissimi soldi in tasca. Poi, di lì a poco, in occasione della leva militare a Milano - città già tecnologicamente all’avanguardia - ci fu modo di sperimentare il nuovo arrivato della casa dal logo con la mela morsicata multicolore. Per inciso, il logo, fortunatamente, era già alla sua seconda versione.
Una volta in congedo, grazie anche all’intraprendenza (e i soldi) di un amico, si partì per la “grande avventura”. Il Macintosh che si riuscì ad acquistare costava l’equivalente di cinque stipendi (suoi), ma già li valeva tutti, nonostante il piccolo monitor in bianco e nero, che però era finalmente con sfondo bianco, così da emulare un foglio di carta.
Nottate intere a comporre giornali finti, a disegnare, a ritoccare foto a colori fidandosi delle scale di grigio, con quello spirito “affamato e folle” che dal 2005 è diventato il tormentone oggi citato da tutti. Il commento delle persone che ci vedevano armeggiare con quella strana scatoletta con pulsante e filo alla destra della tastiera (il mouse), era più o meno questo: “bel giocattolo, ma che ci fate?”. Ebbene, quel “giocattolo”, ben prima dell’esordio di ipod, ipad, iphone etc., negli anni a cavallo tra gli ‘80 e i ‘90, ha rivoluzionato il mondo dell’editoria introducendo il concetto, ma anche le modalità, del moderno desktop publishing o DTP, ovverosia l’editoria elettronica. Cambiarono molte cose, in effetti, e - come in ogni rivoluzione - ci furono sconfitti e vincitori: chi non si adeguò alle nuove procedure, vide ridotto - o sparito - il proprio lavoro, ma non se ne può certo fare una colpa alla Apple. Sarebbe come criminalizzare l’inventore del motore a scoppio per aver soppiantato cavalli e carrozze agli inizi del ‘900.
I tradizionalisti conservatori staranno storcendo il naso su questo concetto e, in parte, siamo d’accordo con loro, ma non è forse quello stesso spirito che mosse i futuristi? Contraddizioni inevitabili in un mondo in continua evoluzione-involuzione, evidentemente.
Oggi c’è la fila per dire qualcosa di buono e bello sul conto di Jobs, ma sono tutti sinceri? Si va dagli immancabili fanatici del “santo subito” ai “convertiti”. L’altro genio (o opportunista eticamente discutibile?), Bill Gates - fondatore di Microsoft - che si dice dispiaciuto della scomparsa del rivale, a metà anni ‘90, con manovre più o meno chiare, lanciò il famoso “Windows ‘95”, una brutta copia (a pagamento) del sistema operativo (gratuito) installato su ogni Macintosh. Fu un colpo basso che fece rischiare molto alla Apple, la quale, in quel periodo, complice la concorrenza spesso sleale e qualche scelta oggettivamente sbagliata, non navigava in buone acque. Poi Steve Jobs riprese le briglie e le cose andarono come tutti sappiamo; e Microsoft fu condannata dall’antitrust americano per alcune “scorrettezze”.
Anche quando si parla di Jobs non sono tutte “rose e fiori”, come lui stesso ammetteva, ma questo, purtroppo o per fortuna, fa parte del gigantesco gioco economico del quale faceva (e facciamo) parte. Infatti, oggi, la cosa più triste - oltre alla sua morte, ovviamente - è che venga ricordato quasi esclusivamente per gadget pressoché inutili alla produzione, ma che tanto hanno elevato il fatturato di Apple negli ultimi dieci anni. Jobs si rese conto - come al solito prima di altri - che bisognava commercializzare qualcosa di “inutile utilità”, appunto, ma che avesse la valenza di satus symbol e un prezzo abbastanza alto per poter mantenere in vita la sua creatura originale: il Macintosh, appunto. Al proposito, una menzione particolare merita il meno noto - ma altrettanto geniale - cofondatore di Apple, Steve “Woz” Wozniak, vera mente informatica degli inizi, più che commerciale e stilistica, del fantasioso duo.
In conclusione, quegli stessi che chiamavano giocattolo il “Mac”, oggi si pavoneggiano con l’ultimo modello di iphone, ma, quasi tutti, non hanno mai veramente usato il Macintosh. Nonostante ciò, ci sono molte persone che sono passate da “Win” a “Mac”, ma quasi nessuno che abbia fatto il contrario…
Comunque grazie, Steve, ora riposa in pace.
Se soltanto si potesse fare un “mela-z” (annulla ultima operazione su Mac) alla tua morte.
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 Carlo Pompei
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Carlo Pompei, classe 1966, “Romano de Roma”. Appena nato, non sapendo ancora né leggere, né scrivere, cominciò improvvisamente a disegnare. A scuola mise subito in evidenza le proprie capacità di “fuoriclasse”. Come? Venendo "buttato" fuori dall’aula dai professori, un'ora sì, l'altra pure… Oggi, si divide tra grafica, impaginazione, scrittura, illustrazione, informatica, insegnamento ed… ebanisteria “entry level”. Perché, come spesso ricorda agli amici, "c’è il mutuo da pagare".

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