Nuovi lussi...
Il diritto alla pensione secondo il professor Ferrera
«I diritti sono una cosa seria, ma proprio per questo bisogna riconoscere che
non sono tutti uguali. Alcuni (quelli civili e politici) tutelano libertà e
facoltà dei cittadini e sulla loro certezza non si può transigere. I diritti
sociali sono diversi: conferiscono spettanze, ossia titoli a partecipare alla
spartizione del bilancio pubblico, che a sua volta dipende dal gettito fiscale
e dal funzionamento dell'economia. Dato che al mondo non esistono pasti gratis,
i diritti sociali non possono essere considerati come delle garanzie
immodificabili nel tempo. Il loro contenuto deve essere programmaticamente
commisurato alle dimensioni della torta di cui si dispone e all'andamento
dell'economia e della demografia» (*). Così Maurizio Ferrera, professore di
Politiche sociali e del lavoro presso l’Università di Milano, nonché
editorialista di punta del “Corriere della Sera”, giornalone favorevole, e da
anni, a privatizzare anche l’Arma dei Carabinieri…
Due osservazioni.
In primo luogo, un diritto o è tale o non è. Il riconoscimento di un diritto da
parte dell’ordinamento o c’è o non c’è. Non può andare e venire secondo
necessità politiche. Non è come una squadra di calcio, magari di provincia, che
tutti gli anni rischia di retrocedere in serie B. È vero che il diritto ( e
dunque i diritti…), sociologicamente, è una forma organizzativa che riflette
scelte di tipo politico, scelte redistributive che possono mutare nel tempo.
Tuttavia, quando, come nel caso del professor Ferrera, si decide, “prima”, di
condividere la moderna e neo-illuministica cultura delle Carte dei diritti
(come si evince dai suoi primi lavori su welfare e pensioni di cittadinanza)
(**), dopo”, non si possono stilare classifiche calcistiche... O la coerenza
argomentativa è un optional? E poi classifiche, ad uso e consumo di chi?
Confindustria? Fmi? Bce? Moody’s Corporation?
In secondo luogo, la cultura mercatista alla Ferrera, scherza con il fuoco.
Perché se è vero che in Italia con le pensioni d’invalidità si è costruito il
consenso, rimane altrettanto vero che con le pensioni tout court si è garantita
la continuità di un potere d’acquisto, che ha favorito due beni pubblici per
eccellenza: sviluppo e pace sociale. Certo, esistono vincoli di bilancio, il
settore va razionalizzato, l’età gradualmente elevata, il diritto-principio
però non va toccato, pena la sempre possibile delegittimazione del sistema
politico, sociale ed economico. Perciò Ferrera rischia l' autogol quando,
storcendo il naso, critica il fatto che oggi « l’aver lavorato per 35 o 40
anni, indipendentemente dalla congruità dei contributi versati, è diventato il
presupposto fondativo dell’accesso alla pensione». Cerchiamo di essere seri.
Quale poteva e può essere «il presupposto fondativo»? I soli contributi
versati, come sostiene l’editorialista del Corrierone? O, più giustamente, come
proclamano le Carte dei diritti, il valore, incalcolabile, del diritto a vivere
un'esistenza dignitosa, proprio dopo aver lavorato 35 o 40 anni ? E poi, per
dirla tutta, il diritto da vecchi a una vita degna dell’altrui rispetto e
libera dalla paura di finire sotto i ponti, può essere collegato, in assoluto,
a una busta paga?
Carlo Gambescia
..
(**) Come summa delle Carte precedenti, si veda la Dichiarazione Onu
del 1948, all' articolo 25 .
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