Perché non abolire il monopolio dell’azione penale - attualmente attribuito ai P.M. - e istituire una concorrente azione penale, concessa a tutte le parti lese? Di più: per alcuni reati, particolarmente gravi e riguardanti interessi pubblici fondamentali, perché non introdurre anche l’azione popolare?
Una provocazione? Può darsi. Ma la "modesta proposta" dell'amico Teodoro Klitsche de la Grange (*) sembra degna di attenzione e comunque di confronto.
Buona lettura. (C.G.)
.
Riforma della giustizia. Una modesta proposta
di Teodoro Klitsche
de la Grange
.
.
La riforma “epocale” della giustizia pare
sulla rampa di lancio; alcune indiscrezioni permettono – fino ad un certo punto
– di capirne le principali innovazioni. Ma ce n’è una, mai oggetto di
dibattito, che mi pare importante e che non risulta inclusa tra le cose da
fare. È importante perché, a dispetto dell’obbligatorietà
dell’azione penale, quasi il novanta per cento dei reati denunziati
sono archiviati in istruttoria dal P.M. (cioè sono dei processi abortiti, perché mai superano la fase
di gestazione). Onde
quell’“obbligatorietà” dell’azione penale è una solenne esternazione
costituzionale, che copre una pratica di proscioglimenti - assoluzioni di
fatto.
Cui si potrebbe porre qualche rimedio non “disobbligando” il P.M. ma “facultando” la vittima del reato a esercitare l’azione penale. Com’è in molti paesi civili (e liberali).
In alcuni ordinamenti (come in quello romano negli statuti dei Comuni italiani medievali e, oggigiorno, in diversi Stati) l’azione penale non è esercitata (solo) da organi pubblici, com’è adesso dagli attuali P.M., ma, come quella civile, è nella disponibilità giuridica di qualsiasi cittadino, leso dall’azione del reo. Un romano della repubblica, o un fiorentino del Rinascimento, citava in giudizio il (presunto) reo, né più né meno come avrebbe fatto con un debitore moroso.
Questo assetto, tipico dei popoli (ed epoche) con forte senso del diritto e della libertà, fu scalzato via, in molti Stati dell’epoca moderna, dallo sviluppo dello Stato di polizia, che assunse il monopolio dell’azione penale, esercitata da un’apposita burocrazia specializzata. La quale ha dato soddisfacenti risultati.
Così un giurista di grande valore come Jhering, vissuto nel periodo “d’oro” dello Stato moderno, rimetteva all’azione civile esercitata dalla parte privata l’effettivo concretarsi del diritto; ma non a quella penale perché “l’attuazione del diritto pubblico e del punitivo è assicurata, per questo ch’è imposta come dovere ai rappresentanti del potere politico; quella invece del diritto privato prende la forma di un diritto delle persone, vale a dire, abbandonato completamente alla loro propria iniziativa, alla spontanea attività loro. Nel primo caso l’attuazione del diritto dipende da ciò, che le autorità ufficiali e gli ufficiali dello Stato compiono il dover loro”.
E il problema sta tutto qui: laddove di converso, le autorità e gli ufficiali dello Stato non compiono il dovere loro, non solo ( e non tanto) per malizia ma, in larga parte “pour la disposition des choses”. In questo caso, ch’è quello dell’Italia repubblicana e non della Germania di Bismarck, occorre trovare dei meccanismi che consentano una migliore attuazione del diritto. Un risultato utile, ancorché limitato, perché la giustizia penale d’ufficio è tuttora il modello (teoricamente e generalmente) più efficiente, potrebbe averlo, l’abolizione del monopolio dell’azione penale attribuito ai P.M., e l’istituzione di una (concorrente) azione penale concessa a (tutte) le parti lese; e , per alcuni reati, particolarmente gravi e incidenti su primari interessi pubblici, prevedere anche l’azione popolare.
Certo, l’effetto di una riforma del genere sarebbe non determinante, ma neppure del tutto trascurabile. In primo luogo perché indipendentemente dai (probabilmente) modesti effetti sulla situazione in generale, avrebbe il pregio di rendere più efficace la tutela del diritto laddove non occorrono particolari investigazioni (per parecchi illeciti penali il responsabile della condotta lesiva è noto), dato che il colpevole sa bene che è assai più rischioso vedersela con la parte lesa, che lotta per l’affermazione del suo diritto, che con uffici pubblici (spesso oberati di lavoro) per cui un reato denunziato è solo una pratica da (istruire ed) evadere.
Perseguendo il reo, la parte lesa, facendo valere il proprio diritto (soggettivo) alla riparazione del torto diventa anche un “organo” del diritto oggettivo, come scriveva, per l’appunto Jhering (per il diritto civile): collabora all’attuazione dell’interesse generale all’applicazione del diritto, tutelando i propri jura particolari. Tutto il contrario di quanto succede – spesso - nella sfera pubblica, dove sotto il pretesto di perseguire interessi generali, si cerca, al contrario, di conseguire solo il proprio utile particolare.
D’altra parte l’abolizione del monopolio dell’azione penale presenterebbe altri vantaggi: non solo di far collaborare all’attuazione del diritto tanti che ne sono esclusi. Ma anche a fugare - o almeno a ridurre – il dubbio, spesso affacciatosi che, in particolare per certe inchieste, vi siano delle indagini privilegiate, percorse di preferenza, e altre abitualmente neglette. E’ chiaro che se il regime d’esercizio non è monopolistico, possono arrivare in dibattimento questioni che “riequilibrerebbero”, almeno in parte, l’indirizzo punitivo della giustizia penale, e fugherebbero (o alleggerirebbero) il dubbio di strumentalizzazioni politiche e/o d’altro genere. Infine occorre notare come la compressione del diritto d’azione è caratteristica frequente nei regimi politici autoritari, totalitari o dispotici. E in questo c’è una logica, non solo evidentemente nel caso di un regime totalitario dove l’applicazione del diritto è opera di una burocrazia dipendente dal potere governativo.
Queste cose chi scrive le va ripetendo da anni (devo dire del tutto inutilmente). Ma il fatto che una soluzione del genere sia adottata in Stati cui, notoriamente, noi italiani non possiamo dare lezioni di liberaldemocrazia comela Gran Bretagna ,
la Francia ,
il Belgio; che fosse patrimonio del diritto romano (ve lo ricordate il processo
a Verre? con i siciliani che pagano profumatamente e con successo il giovane
avvocato rampante – Cicerone – per far condannare Verre?); mi induce a
riproporlo in ogni occasione. Certo non posso sperare in nuovi processi alla
Verre. Ma almeno che si facciano quelli all’amministratore di condominio che
scappa con la cassa o al debitore che non esegue la sentenza (già frutto di un
processo civile decennale), è ragionevole aspettarselo. E con ciò un
miglioramento del tasso – così basso in Italia – dell’effettiva vigenza nei
comportamenti sociali, e non solo nelle gazzette ufficiali, del diritto.
.
Cui si potrebbe porre qualche rimedio non “disobbligando” il P.M. ma “facultando” la vittima del reato a esercitare l’azione penale. Com’è in molti paesi civili (e liberali).
In alcuni ordinamenti (come in quello romano negli statuti dei Comuni italiani medievali e, oggigiorno, in diversi Stati) l’azione penale non è esercitata (solo) da organi pubblici, com’è adesso dagli attuali P.M., ma, come quella civile, è nella disponibilità giuridica di qualsiasi cittadino, leso dall’azione del reo. Un romano della repubblica, o un fiorentino del Rinascimento, citava in giudizio il (presunto) reo, né più né meno come avrebbe fatto con un debitore moroso.
Questo assetto, tipico dei popoli (ed epoche) con forte senso del diritto e della libertà, fu scalzato via, in molti Stati dell’epoca moderna, dallo sviluppo dello Stato di polizia, che assunse il monopolio dell’azione penale, esercitata da un’apposita burocrazia specializzata. La quale ha dato soddisfacenti risultati.
Così un giurista di grande valore come Jhering, vissuto nel periodo “d’oro” dello Stato moderno, rimetteva all’azione civile esercitata dalla parte privata l’effettivo concretarsi del diritto; ma non a quella penale perché “l’attuazione del diritto pubblico e del punitivo è assicurata, per questo ch’è imposta come dovere ai rappresentanti del potere politico; quella invece del diritto privato prende la forma di un diritto delle persone, vale a dire, abbandonato completamente alla loro propria iniziativa, alla spontanea attività loro. Nel primo caso l’attuazione del diritto dipende da ciò, che le autorità ufficiali e gli ufficiali dello Stato compiono il dover loro”.
E il problema sta tutto qui: laddove di converso, le autorità e gli ufficiali dello Stato non compiono il dovere loro, non solo ( e non tanto) per malizia ma, in larga parte “pour la disposition des choses”. In questo caso, ch’è quello dell’Italia repubblicana e non della Germania di Bismarck, occorre trovare dei meccanismi che consentano una migliore attuazione del diritto. Un risultato utile, ancorché limitato, perché la giustizia penale d’ufficio è tuttora il modello (teoricamente e generalmente) più efficiente, potrebbe averlo, l’abolizione del monopolio dell’azione penale attribuito ai P.M., e l’istituzione di una (concorrente) azione penale concessa a (tutte) le parti lese; e , per alcuni reati, particolarmente gravi e incidenti su primari interessi pubblici, prevedere anche l’azione popolare.
Certo, l’effetto di una riforma del genere sarebbe non determinante, ma neppure del tutto trascurabile. In primo luogo perché indipendentemente dai (probabilmente) modesti effetti sulla situazione in generale, avrebbe il pregio di rendere più efficace la tutela del diritto laddove non occorrono particolari investigazioni (per parecchi illeciti penali il responsabile della condotta lesiva è noto), dato che il colpevole sa bene che è assai più rischioso vedersela con la parte lesa, che lotta per l’affermazione del suo diritto, che con uffici pubblici (spesso oberati di lavoro) per cui un reato denunziato è solo una pratica da (istruire ed) evadere.
Perseguendo il reo, la parte lesa, facendo valere il proprio diritto (soggettivo) alla riparazione del torto diventa anche un “organo” del diritto oggettivo, come scriveva, per l’appunto Jhering (per il diritto civile): collabora all’attuazione dell’interesse generale all’applicazione del diritto, tutelando i propri jura particolari. Tutto il contrario di quanto succede – spesso - nella sfera pubblica, dove sotto il pretesto di perseguire interessi generali, si cerca, al contrario, di conseguire solo il proprio utile particolare.
D’altra parte l’abolizione del monopolio dell’azione penale presenterebbe altri vantaggi: non solo di far collaborare all’attuazione del diritto tanti che ne sono esclusi. Ma anche a fugare - o almeno a ridurre – il dubbio, spesso affacciatosi che, in particolare per certe inchieste, vi siano delle indagini privilegiate, percorse di preferenza, e altre abitualmente neglette. E’ chiaro che se il regime d’esercizio non è monopolistico, possono arrivare in dibattimento questioni che “riequilibrerebbero”, almeno in parte, l’indirizzo punitivo della giustizia penale, e fugherebbero (o alleggerirebbero) il dubbio di strumentalizzazioni politiche e/o d’altro genere. Infine occorre notare come la compressione del diritto d’azione è caratteristica frequente nei regimi politici autoritari, totalitari o dispotici. E in questo c’è una logica, non solo evidentemente nel caso di un regime totalitario dove l’applicazione del diritto è opera di una burocrazia dipendente dal potere governativo.
Queste cose chi scrive le va ripetendo da anni (devo dire del tutto inutilmente). Ma il fatto che una soluzione del genere sia adottata in Stati cui, notoriamente, noi italiani non possiamo dare lezioni di liberaldemocrazia come
.
Teodoro Klitsche de la Grange
(*) Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).
***
Pubblichiamo la risposta di Teodoro Klitsche de la Grange ai commenti di
Giacomo Gabellini, Luca Ceccarelli e Luigi Puddu.
Ringrazio il giovanissimo - così mi viene presentato da Carlo - Giacomo Gabellini per i lusinghieri giudizi. Sono perplesso, tuttavia, per quelli sul mio italiano. Mi spiego: leggo subito dopo il commento del dr. Ceccarelli e ho l’impressione di non essermi spiegato, perché scrive di cose e giudizi che non ho espresso, e non corrispondono comunque alla realtà. Ad esempio parlare di monopolio dell’azione penale come principio di civiltà giuridico-moderna è fuori bersaglio perché la funzione che è stata monopolizzata dallo Stato moderno (una delle tante) è la giurisdizionale (cioè il “giudice”), sottraendola a quei soggetti che ne erano titolari (da alcuni signori feudali alla Chiesa); ma non l’azione penale. Tant’è che in molti Stati moderni l’azione penale è esercitabile anche dalle vittime del reato. Gli posso consigliare di leggere, tra la (non molta) letteratura in merito il volume collettaneo Procedure penali a confronto (Cedam 1998) dove potrà farsi un’idea della situazione, almeno in cinque Stati d’Europa, in tre dei quali vige un sistema simile a quello da me caldeggiato.
Quanto al dr. Puddu, che mi chiede “esempi concreti”, rispondo: tanti. Se si leggono le statistiche del Ministero della Giustizia, quasi il 90% dei reati vengono archiviati su richiesta del P.M. Il che significa o che i denunzianti/querelanti/refertanti sono (quasi tutti) dei sognatori un po’ paranoici che vedono (crimini e) criminali dove non ci sono (ma con queste frequenze statistiche siamo alla paranoia… di massa) ovvero che l’archiviazione – che colpisce soprattutto i piccoli reati – è uno strumento dei P.M. per dedicarsi ai reati che generano “allarme sociale”. Per cui conferire alle vittime l’esercizio dell’azione penale (e non la mera costituzione di parte civile nel processo “azionato” dal P.M.) può essere una via per far ottenere la soddisfazione ai danneggiati del loro interesse personale così come collaborare all’interesse generale all’efficacia del diritto (Jhering docet).
Pertanto non può essere visto come “privatizzazione del pubblico” una proposta che non toglie nessuna competenza al P.M. ma aggiunge una facoltà ai cittadini (vittime del reato).
Per il resto chiederei al dr. Puddu, per rispondergli, di chiarire cosa intende per “capacità” (il termine è polisenso, specie nel diritto) e l’ “effettività della ri-attribuzione” che talvolta è possibile, talaltra non lo è: e allora si passa al risarcimento per equivalente.
Cordialità
Teodoro Klitsche de la Grange
.
Nessun commento:
Posta un commento