Il nucleare?
Paura da
secolarizzazione
Quale può
essere l’apporto specifico della sociologia alla soluzione del quesito nucleare
sì-nucleare no?
In primo luogo, c’è una branca della sociologia che studia i processi
organizzativi quale rapporto tra comportamenti burocratici e disfunzioni: una
centrale atomica è un’ organizzazione, produttrice di regole e comportamenti,
che interagisce con altre istituzioni, e come tale va studiata, soprattutto
come possibile teatro sociale di errori collegati a comportamenti di routine.
Potremmo chiamarla “sociologia del giorno prima”.
In terzo luogo, la sociologia si occupa anche del “dopo”, purtroppo. Esiste
un’altra disciplina, la sociologia delle catastrofi, che studia le reazioni
psicosociali a eventi socialmente distruttivi, come un’esplosione nucleare, Ma
si occupa anche degli aspetti organizzativi concernenti i soccorsi, morali e
materiali. Potremmo chiamarla “sociologia del giorno dopo”.
In terzo e ultimo luogo, la sociologia dei processi culturali (un tempo
sociologia della conoscenza) studia il perché del diffondersi della paura
dell’atomo tra intellettuali e collettività in termini di valori e di
interazione tra valori e società. Potremmo chiamarla “sociologia del giorno
prima e del giorno dopo”.
Le tre branche della sociologia, pur muovendosi su terreni diversi, convergono
analiticamente su un punto specifico. Quale? Che i toni esasperati assunti dal
dibattito sul nucleare sono un portato del processo di secolarizzazione,
particolarmente incrudelitosi nella seconda metà del Novecento, dopo la
scoperta della potenza dell’atomo.
Alla base della secolarizzazione, come è noto, c’è la rivendicazione di forza
assoluta, da parte dell’uomo, nei riguardi di Dio. Con la scoperta della
potenza dell’atomo, si è però fatto un passo ulteriore: l’uomo ha conseguito
poteri distruttivi in passato attribuiti solo a Dio.
Di qui un senso di onnipotenza nell’ al di qua, senza alcuna redenzione nell’al
di là. La redenzione a metà - solo nell’ al di qua - ha creato un vuoto
culturale e psicosociale, contraddistinto per un verso dalla costante paura di
fare scelte sbagliate e pericolose (antinuclearisti), per l’altro dal senso di
onnipotenza di cui sopra (nuclearisti).
Una contraddizione, piaccia o meno, causata dall’ auto-attribuzione - per
capirsi: dell’uomo a se stesso - di un compito sicuramente superiore alle forze
umane. Uno stallo - tra onnipotenza e paura della propria onnipotenza - dal quale
l’uomo contemporaneo (nuclearista o meno), essere per natura imperfetto,
difficilmente uscirà.
Che serva di nuovo un Dio?
Carlo Gambescia
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