Il libro della settimana: Pietro Grilli
di Cortona e Orazio Lanza, Tra vecchio e nuovo regime. Il peso del
passato nella costruzione della democrazia , il Mulino 2011, pp.
368, euro 29,00.
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Si può apprendere la democrazia? La domanda
è certamente di attualità. Dal momento che in questi giorni, da ultima la Libia , l’Africa sembra
scossa da venti di rivolta. Democratici, appunto. Ma quale sarà il peso
dell’eredità dei precedenti regimi autoritari sulla futura democratizzazione?
Soprattutto perché, come insegnava Tocqueville, si possono cambiare di colpo le
istituzioni politiche, anche con la forza di un rivoluzione, ma non le
strutture sociali e le mentalità pre-esistenti. Perciò la transizione alla
democrazia implica nei popoli, l’apprendimento graduale, ossia la capacità di
metabolizzare gli errori passati, senza per questo negare totalmente la propria
identità storica. Osservazione, in fondo banale, che tuttavia gli americani
stentano tuttora a capire.
In argomento può essere di grande utilità e interesse la lettura dello studio,
ancora fresco di stampa, curato da Pietro Grilli di Cortona e Orazio Lanza: Tra vecchio e nuovo regime. Il peso del passato
nella costruzione della democrazia (il Mulino 2011, pp. 368, euro
29,00). I due curatori, docente universitari di Scienza politica,
rispettivamente a Roma e Catania, hanno prodotto, insieme a un agguerrito
gruppo di collaboratori, una ammirevole sintesi di scienza politica comparata.
Lo studio è infatti dedicato all’intrigante problema del ruolo giocato
dall’eredità autoritaria nei processi di democratizzazione o
ri-democratizzazione. Processi che ruotano intorno alla questione della
capacità o meno, da parte delle élite politiche e burocratiche sopravvissute
alla dittatura, di apprendere la grammatica di una democrazia, che piaccia o
meno, affonda le radici nel Vecchio Continente.
La risposta degli autori è sostanzialmente positiva, anche perché giocano in
casa. Infatti lo studio è circoscritto ai seguenti paesi europei: Italia,
Germania, Spagna e Portogallo, Polonia e Ungheria, Repubblica Ceca e
Slovacchia, Bulgaria e Romania, Russia. Diciamo che le nazioni più indietro
nell’apprendimento sembrano essere le ultime tre . Anzi per la Russia , in realtà da sempre
divisa tra Oriente e Occidente, si parla di vera e propria involuzione.
Ma, sull’importanza di un corretto rapporto politico con il passato, lasciamo
la parola a Pietro Grilli di Cortona: «Per quanto distruttiva e discontinua
possa essere una transizione, nessun regime nasce in un vuoto storico e
istituzionale: le tracce del passato restano sempre e con esse occorre fare i
conti (…) . Oltre che con le eredità visibili (élite, istituzioni,
organizzazioni, prassi politiche) occorre fare i conti con quelle invisibili,
prevalentemente la memoria del passato fatta filtrare da élite, mass media e
istituzioni. Il tema è difficilmente circoscrivibile (…) ma la sua rilevanza
nella politica delle democrazie è evidente: la riattualizzazione di fatti
accaduti tanti anni prima può sembrare assurda, ma è parte della politica
quotidiana e presenta aspetti positivi e negativi. Il passato fascista,
nazionalsocialista, comunista, franchista, “collaborazionista”, nazionalista,
nonché la complicità, i delitti e le responsabilità delle élite continuano a
costituire altrettanti criteri con cui misurare scelte e comportamenti
politici, a condizionare la legittimazione reciproca tra forze politiche
contrapposte» .
Si tratta divisioni che noi italiani, purtroppo, conosciamo bene. Perciò un uso
accorto della memoria può favorire l’ apprendimento politico, e dunque il
futuro della democrazia, non solo in Europa. Anche se, come nota Grilli di
Cortona, «la memoria presenta rischi negativi se si trasforma nell’ “ossessione
della memoria”, in un passato che non passa mai, che continua ad alimentare
conflitti e contrapposizioni» capaci di offrire alla politica solo
«orientamenti paralizzanti »
Concludendo, diamo un piccolo consiglio al popolo libico: deporre Gheddafi può
andar bene. Anche dimenticarlo. Ma senza esagerare.
Carlo Gambescia
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