Elementi di sociologia delle folle
La retorica, soprattutto mediatica, rivolta a celebrare il popolo
“intelligente” che va in piazza perché vuole la democrazia - e chi non vuole
oggi la democrazia? - va sempre presa cum
grano salis.
L’ ”intelligenza”, piaccia o meno, non frequenta le piazze o per essere
sociologicamente corretti i fenomeni di folla. Ma è "usata" dalle
élite che organizzano le manifestazioni, in genere un gruppo sociale specifico.
Sulle cui finalità - buone o cattive - non entriamo qui nel merito. Le folle
possono anche nascere spontaneamente, per le più varie ragioni, ma di regola o
si solidificano in istituzioni o spariscono. Ovviamente nel processo di
"solidificazione" i leader eventualmente emergenti dalla folla si
scontrano con i leader pre-esistenti: o dominanti, perché al potere, o non
dominanti ma organizzati. E la lotta sarà decisa dai rispettivi e crescenti
livelli di organizzazione. Nel senso che la vittoria andrà solo a quella folla
che riuscirà, grazie ai suoi leader, a trasformarsi in gruppo organizzato e
sconfiggere le organizzazioni esistenti. Per farla breve la folla per vincere
deve cessare di essere tale. La conquista d'impeto del Palazzo d'Inverno non
sempre può bastare...
Di genuino, negli individui che compongono la folla, può esservi la “rabbia sociale” e la voglia di partecipare: frutto di sentimenti ed emozioni diffusi e consolidati, per contagio psichico, una volta che si sia fisicamente scesi in piazza. Sentimenti ed emozioni, che proprio perché tali, non possono essere costitutivamente esito di calcoli e ragionamenti "ex ante". A meno che non si voglia attribuire alla folla una specie di coscienza collettiva, frutto di una sedimentata razionalità sociale, confondendo però Le Bon con Durkheim. Perché - e si tratta di un concetto ancora discusso in sociologia - la coscienza collettiva può essere attribuita a un gruppo sociale organizzato, ma non a una folla… Per farla breve: il gruppo sociale (ad esempio un partito, un' associazione, eccetera ) è stabile e omogeneo mentre la folla è fluttuante e disomogenea, anche se si compone di associazioni e individui, in alcuni casi, con spiccate “capacità di ragionamento”… Di qui il diverso approccio alle questioni di giustizia.
Di genuino, negli individui che compongono la folla, può esservi la “rabbia sociale” e la voglia di partecipare: frutto di sentimenti ed emozioni diffusi e consolidati, per contagio psichico, una volta che si sia fisicamente scesi in piazza. Sentimenti ed emozioni, che proprio perché tali, non possono essere costitutivamente esito di calcoli e ragionamenti "ex ante". A meno che non si voglia attribuire alla folla una specie di coscienza collettiva, frutto di una sedimentata razionalità sociale, confondendo però Le Bon con Durkheim. Perché - e si tratta di un concetto ancora discusso in sociologia - la coscienza collettiva può essere attribuita a un gruppo sociale organizzato, ma non a una folla… Per farla breve: il gruppo sociale (ad esempio un partito, un' associazione, eccetera ) è stabile e omogeneo mentre la folla è fluttuante e disomogenea, anche se si compone di associazioni e individui, in alcuni casi, con spiccate “capacità di ragionamento”… Di qui il diverso approccio alle questioni di giustizia.
Semplificando al massimo: il gruppo ragiona e giudica, la folla sragiona e
condanna. Di conseguenza la folla è una cosa la democrazia un’altra. Insomma,
il movimento (folla) deve farsi istituzione (politica). Il che dipende dalla
maturità politica delle élite che sono "dietro" la folla. Ma questa è
un'altra storia.
Carlo Gambescia
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