mercoledì 20 maggio 2009

Incontri su You Tube
 Giorgio Gaber, 
un Hidalgo del mondo musicale



Il nostro è un tempo curioso. Gli intellettuali celebrano il postmoderno. E così li si vede nei salotti televisivi, trinciare giudizi sul nichilismo post-apocalittico in appositi siparietti culturali, posti tra ciclopiche gare di rutti… Così va il mondo post-moderno: dici una cosa e nei fai un’altra…
Chi invece aveva capito tutto, purtroppo non c’è più. Parliamo di Giorgio Gaber, grandissimo poeta della canzone, scomparso nel gennaio del 2003. Lui non amava la televisione culi-tette… Impazziva per il teatro. E infatti si inventò, all’inizio degli anni Settanta, la canzone a teatro. Frammista a eleganti e fustiganti monologhi, proprio sul declino del suo tempo (che già era post-moderno, senza che nessuno, a parte Gaber, lo sapesse). Da vero Hidalgo liberale, come un Ortega y Gasset redivivo…
Qualche lettore penserà che stiamo esagerando… Un cantante, anche bravissimo poeta, è solo un cantante. E invece no. Gaber ha smontato tutti i miti del mondo post-sessantottino: post-moderno, appunto. Un universo piatto perché privo di forti passioni politiche per la libertà, quella vera, delle persone. E la critica di Gaber all’ individuo post-moderno, schiavo di minuscoli piaceri materiali, ricorda quella di Ortega y Gasset al fangoso piccolo borghese universale, già vivo e vegeto negli anni Trenta del Novecento.
Gaber celebra la persona e critica l’ omologante individualismo di massa. Basti ricordare alcuni titoli dei suoi brani anni Settanta: I borghesi (1971) Far finta di essere sani (1973), oppure i testi di monologhi come Libertà obbligatoria (1976). In quel che all’epoca scriveva, cantava e raccontava c’era un’ ansia per la libertà dei singoli, in quegli anni già sommersi dall’inciviltà dei consumi… Un timore-tremore per l’uomo, che avrebbe portato Gaber, di lì a qualche anno, a celebrare pienamente la libertà, non come affannosa rincorsa all’ultimo paio di mutande firmate, ma quale partecipazione politica, libera e consapevole.
Ma non vorremo cadere nella retorica o nella pedanteria dell’esegetica testuale. Roba insomma da professori in “gaberologia”… Perché sarebbe solo un modo per trasformare Gaber in un altro Garibaldi, senza cavallo però, di cui sia vietato parlare male. In ogni modo, per un’ampia scelta di testi si può dare un’occhiatina al sito http://www.giorgiogaber.it/. Mentre per rivederlo nell’ultima sua intervista, basta cliccare su http://www.youtube.com/watch?v=Ve5zYmctDYM. Gaber va ricordato per la sua naturale capacità, da vero liberale orteghiano, di coniugare libertà e intelligenza. Da lui viste come una forza innata nell’uomo, capace di permettere a ogni essere umano “con addosso l’entusiasmo, di spaziare senza limiti nel cosmo”.
Insomma, Gaber era per modernità liberale, e non per la post-modernità all inclusive … Modernità sì, ma “tosta”. Faustiana. Senza gare televisive di rutti e nichilismi spiccioli. 


Carlo Gambescia

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