La polemica Draghi-Tremonti
Modesta
proposta per prevenire
La presa di posizione di Draghi contro Tremonti è molto interessante come spunto per capire che tipi di meccanismi ideologici e sociologici sono dietro le “diverse” posizioni sulle forme di controllo dell’attività bancaria e soprattutto economica ( http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/economia/crisi-21/draghi-no-prefetti/draghi-no-prefetti.html ) . Ma anche per ragionare in termini di prospettive più profonde sulla storia del capitalismo. E, cosa più importante, senza pretendere di imporre alcuna ricetta salvifica definitiva.
Dunque, nella polemica sono in gioco i nuovi Osservatori, varati da Tesoro e
Interni. Che a detta di Draghi non potranno rivolgersi direttamente alle banche
per ottenere cifre disaggregate sui prestiti concessi dai singoli istituti.
Diciamo subito che Tremonti e Draghi si muovono nell’ambito di una accettazione in linea di principio del libero mercato. Le differenze riguardano le cosiddette regole (chi deve fare cosa) e non i contenuti (quel che si deve fare). Altro dettaglio importante è che, stando allo stesso Tremonti, si tratta di misure temporanee, legate alla situazione di crisi.
Ora, in particolare, l’opposizione di Draghi, può essere ricondotta, a due fattori: un storico e uno funzionale.
Quello storico, che riguarda la cosiddetta “liberazione del credito” legata sul piano politico alle “rivoluzioni” neo-liberali e monetariste degli ultimi trent’anni. Quello funzionale, che concerne la tendenza di ogni istituzione sociale ( e dunque anche della Banca d’Italia), ad accumulare potere, soprattutto in presenza di altre istituzione incapaci di contrastarne l’ascesa.
Ora, è difficile dire che ne sarà nei fatti del provvedimento di Tremonti. Si possono però fare due osservazioni generali.
La prima, è che ideologicamente il neo-liberismo e le dottrine economiche correlate, a causa della crisi, sono entrati in una fase di stasi e di probabile ripensamento.
La seconda, è che la moral suasion di Tremonti potrebbe essere insufficiente, soprattutto se l’istituzione sociale Banca d’Italia trovasse appoggi nelle altre istituzioni sociali del capitalismo italiano, a struttura oligopolistica e familiare.
Perché in realtà - ed è questa la nostra riflessione generale - la posta in gioco, non è rappresentata soltanto ( o comunque non solo) dal controllo della moneta, ma dal ruolo effettivo delle istituzioni (sociali) politiche nel controllo dell’economia capitalistica (italiana) nel suo insieme. Attenzione però: come parte dell’economia capitalistica mondiale.
Allora la vera domanda è: il capitalismo oligopolistico (che, a sua volta, è un gigantesco sistema di imprese monopolistiche, che dipendono dal credito, ma che non sono solo bancarie e finanziarie) italiano e mondiale sarà disposto ad accettare (si veda ad esempio quel che sta accadendo negli Usa), pur di sopravvivere che lo stato (l’istituzione politica per eccellenza della modernità) torni a controllare più strettamente l’erogazione del credito? In un quadro futuro dove, dopo trent’anni, il capitalismo neo-liberista, rischia di tornare a dipendere dalla politica come nei “Trenta Gloriosi”, anni segnati dall’interventismo pubblico, anche in ambito creditizio ? Probabilmente sì. E - semplificando - soltanto per quell’istinto di conservazione che anima anche gli "organismi sociali" sempre tesi, come una corda, tra la difesa del proprio territorio e la conquista di quello altrui. Le società non conoscono lo stato di quiete. E purtroppo neppure quello di "vuoto": nel senso che il potere sociale (economico, politico, religioso, culturale) tende a ricostituirsi sempre. E la democrazia moderna, pur con tutti i suoi limiti, ha tentato di regolare questa ricostituzione del potere sociale allargandone culturalmente e giuridicamente la base. Rifiutarla significa ritornare al potere nudo dei puri e semplici rapporti di forza, come tra le due guerre mondiali. Ed è ciò che gli attori economici e politici responsabili sanno e temono al tempo stesso.
Il che però apre un'altra questione, soprattutto teorica. Quale? Che nella società capitalistica le istituzioni politiche e quelle economiche sono saldamente intrecciate fin dall’inizio: spada, commercio e moneta hanno sempre marciato insieme. Come mostrano, per farla breve, lo sviluppo dello stato nazionale, nelle sue varie forme prodromiche ( comune come città-stato, signoria, principato) e via via più complesse (dallo stato assoluto allo stato-nazione contemporaneo). Tutte forme politiche rivolte, secondo un meccanismo di interdipendenza causale azione-reazione, all'unificazione scalare dei diversi mercati (come ha provato la grande Scuola storica economica tedesca dell’Ottocento, dalla quale sono scaturite tutte le successive interpretazioni del capitalismo da Marx, Weber, Sombart fino a Oscar Nuccio): prima locali, poi regionali e nazionali e infine internazionali. Grazie al progressivo sviluppo - innato negli organismi sociali, inclusivi di quelli politici ed economici, che come detto non ammettono il vuoto - di egemonie politiche regionali, nazionali e mondiali. E in particolare, come prolungamento della Rivoluzione Industriale (o "Economica" per eccellenza), quella britannica e statunitense.
Di conseguenza qualsiasi proposta di riforma, o di altro genere, dovrà tenere presente questo accoppiamento poco giudizioso tra politica ed economia, che ha segnato la storia sociale del capitalismo moderno. A tale proposito, sulla teoria scalare o stadiale, sarebbe interessante andarsi a rileggere le cinque serie della Biblioteca dell’economista (1850-1922), ela Nuova collana
di economisti stranieri e italiani, (1932-1937). Dove spiccano le opere di
Roscher, Schmoller, Bücher, solo per fare alcuni nomi di prestigiosi esponenti
della Vecchia e Nuova scuola di storia economica tedesca.
E soprattutto, per tornare al nostro argomento, del rischio che il Capitalismo Oligopolistico Mondiale (COM), il cui scopo è quello dell’unificazione e spartizione tra poche imprese del mercato internazionale, faccia il passo indietro di cui sopra, per poi stabilizzarsi, nel quadro di uno Stato Mondiale Leviatano (SML). Il quale possa con una mano erogare il credito ai suoi “capitalisti prediletti” e con l’altra impugnare la spada contro i nemici del nuovo ordine.
Diciamo subito che Tremonti e Draghi si muovono nell’ambito di una accettazione in linea di principio del libero mercato. Le differenze riguardano le cosiddette regole (chi deve fare cosa) e non i contenuti (quel che si deve fare). Altro dettaglio importante è che, stando allo stesso Tremonti, si tratta di misure temporanee, legate alla situazione di crisi.
Ora, in particolare, l’opposizione di Draghi, può essere ricondotta, a due fattori: un storico e uno funzionale.
Quello storico, che riguarda la cosiddetta “liberazione del credito” legata sul piano politico alle “rivoluzioni” neo-liberali e monetariste degli ultimi trent’anni. Quello funzionale, che concerne la tendenza di ogni istituzione sociale ( e dunque anche della Banca d’Italia), ad accumulare potere, soprattutto in presenza di altre istituzione incapaci di contrastarne l’ascesa.
Ora, è difficile dire che ne sarà nei fatti del provvedimento di Tremonti. Si possono però fare due osservazioni generali.
La prima, è che ideologicamente il neo-liberismo e le dottrine economiche correlate, a causa della crisi, sono entrati in una fase di stasi e di probabile ripensamento.
La seconda, è che la moral suasion di Tremonti potrebbe essere insufficiente, soprattutto se l’istituzione sociale Banca d’Italia trovasse appoggi nelle altre istituzioni sociali del capitalismo italiano, a struttura oligopolistica e familiare.
Perché in realtà - ed è questa la nostra riflessione generale - la posta in gioco, non è rappresentata soltanto ( o comunque non solo) dal controllo della moneta, ma dal ruolo effettivo delle istituzioni (sociali) politiche nel controllo dell’economia capitalistica (italiana) nel suo insieme. Attenzione però: come parte dell’economia capitalistica mondiale.
Allora la vera domanda è: il capitalismo oligopolistico (che, a sua volta, è un gigantesco sistema di imprese monopolistiche, che dipendono dal credito, ma che non sono solo bancarie e finanziarie) italiano e mondiale sarà disposto ad accettare (si veda ad esempio quel che sta accadendo negli Usa), pur di sopravvivere che lo stato (l’istituzione politica per eccellenza della modernità) torni a controllare più strettamente l’erogazione del credito? In un quadro futuro dove, dopo trent’anni, il capitalismo neo-liberista, rischia di tornare a dipendere dalla politica come nei “Trenta Gloriosi”, anni segnati dall’interventismo pubblico, anche in ambito creditizio ? Probabilmente sì. E - semplificando - soltanto per quell’istinto di conservazione che anima anche gli "organismi sociali" sempre tesi, come una corda, tra la difesa del proprio territorio e la conquista di quello altrui. Le società non conoscono lo stato di quiete. E purtroppo neppure quello di "vuoto": nel senso che il potere sociale (economico, politico, religioso, culturale) tende a ricostituirsi sempre. E la democrazia moderna, pur con tutti i suoi limiti, ha tentato di regolare questa ricostituzione del potere sociale allargandone culturalmente e giuridicamente la base. Rifiutarla significa ritornare al potere nudo dei puri e semplici rapporti di forza, come tra le due guerre mondiali. Ed è ciò che gli attori economici e politici responsabili sanno e temono al tempo stesso.
Il che però apre un'altra questione, soprattutto teorica. Quale? Che nella società capitalistica le istituzioni politiche e quelle economiche sono saldamente intrecciate fin dall’inizio: spada, commercio e moneta hanno sempre marciato insieme. Come mostrano, per farla breve, lo sviluppo dello stato nazionale, nelle sue varie forme prodromiche ( comune come città-stato, signoria, principato) e via via più complesse (dallo stato assoluto allo stato-nazione contemporaneo). Tutte forme politiche rivolte, secondo un meccanismo di interdipendenza causale azione-reazione, all'unificazione scalare dei diversi mercati (come ha provato la grande Scuola storica economica tedesca dell’Ottocento, dalla quale sono scaturite tutte le successive interpretazioni del capitalismo da Marx, Weber, Sombart fino a Oscar Nuccio): prima locali, poi regionali e nazionali e infine internazionali. Grazie al progressivo sviluppo - innato negli organismi sociali, inclusivi di quelli politici ed economici, che come detto non ammettono il vuoto - di egemonie politiche regionali, nazionali e mondiali. E in particolare, come prolungamento della Rivoluzione Industriale (o "Economica" per eccellenza), quella britannica e statunitense.
Di conseguenza qualsiasi proposta di riforma, o di altro genere, dovrà tenere presente questo accoppiamento poco giudizioso tra politica ed economia, che ha segnato la storia sociale del capitalismo moderno. A tale proposito, sulla teoria scalare o stadiale, sarebbe interessante andarsi a rileggere le cinque serie della Biblioteca dell’economista (1850-1922), e
E soprattutto, per tornare al nostro argomento, del rischio che il Capitalismo Oligopolistico Mondiale (COM), il cui scopo è quello dell’unificazione e spartizione tra poche imprese del mercato internazionale, faccia il passo indietro di cui sopra, per poi stabilizzarsi, nel quadro di uno Stato Mondiale Leviatano (SML). Il quale possa con una mano erogare il credito ai suoi “capitalisti prediletti” e con l’altra impugnare la spada contro i nemici del nuovo ordine.
Pertanto, e concludendo, la vera questione, sollevata
dalla polemica Draghi-Tremonti ( e che va oltre la diatriba stessa) non è solo
quella del controllo del credito e persino dell'economia, ma è molto più
importante. E ci spieghiamo meglio.
Il vero problema - che purtroppo ricorda la famigerata
quadratura del cerchio - è quello di come per un verso rivalutare il ruolo del
politico, evitando la tentazione totalitaria, e per l'altro di come fuoriuscire
dalla logica scalare e causalmente interattiva, ma profondamente sociologica
(stato-mercato-unificazione nazionale e mondiale), che ha dominato la storia
sociale moderna. E quindi, cosa più importante, di come salvaguardare la
democrazia non solo dagli oligopoli economici ma anche da quelli politici.
In buona sostanza la realtà sociale è complessa. Non esistono
risposte definitive. Di qui l'importanza di guardarsi bene dai Grandi
Semplificatori. Alcuni, infatti, oggi vorrebbero saldare i conti, uscendo dalla
modernità. Ma a che prezzo per la democrazia dei moderni? Così faticosamente
perseguita, e tutto sommato ancora perfettibile perché, come si dice, in corso
d'opera ?
Carlo Gambescia
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