Le dimissioni di Veltroni
Troppi giri
di Walter
Da una parte i duri e puri della sinistra radicale, felici, per essersi tolti dai piedi un pericoloso avversario. Dall’altra i blairiani della sinistra riformista, tristi, per aver perduto il principale profeta.
Ciò però non significa che tutti (riformisti e radicali)
ora non siano preoccupati per il futuro dell’intera sinistra italiana, mai come
oggi divisa, se non frantumata in correnti di partito, partitini, cespugli. Per
non parlare degli elettori, completamente demoralizzati.
La “caduta” di Veltroni - se si vuole entrare nel merito della questione - è soprattutto “caduta” del veltronismo. Che non era altro che berlusconismo di sinistra: un certo modo di identificare la politica con la pubblipolitica, puntando su un immaginario sociale mercatista e sulla personalizzazione mediatizzata del leader. E con l’ ”esclusiva”, rispetto al berlusconismo, sulle "campagne" legate ai diritti civili: battaglie importanti ma socialmente minoritarie, perché interne alla latitante cultura liberalsocialista di microscopici, se non del tutto fantomatici, ceti medi riflessivi.
Probabilmente, la differenza fondamentale con la pubblipolitica vincente di Berlusconi, è nell’avere sbagliato “esclusiva”: non aver caratterizzato il Pd come partito dei diritti sociali. O se si preferisce come partito del welfare. E perciò con una sua forte fisionomia sociale (senza per questo cadere nell' anticapitalismo...). E qui è inutile rinvangare la politica mercatista (e dunque di destra) dei governi "fondomonetarizzati" di centrosinistra, succedutisi nell’ultimo quindicennio.
Diciamo che Veltroni, dando qui per “buona” la sua scelta pubblipolitica, ha lasciato che si facessero troppo giri di Walter sulle politiche sociali ed economiche. Lì, la sinistra riformista ha perso la sua partita con Berlusconi.
Va anche detto che qualsiasi ipotetico progetto veltroniano da sinistra sociale si sarebbe scontrato con una realtà italiana priva di solide tradizioni riformiste di stampo socialdemocratico. E quindi di una solida cultura del welfare.
La “caduta” di Veltroni - se si vuole entrare nel merito della questione - è soprattutto “caduta” del veltronismo. Che non era altro che berlusconismo di sinistra: un certo modo di identificare la politica con la pubblipolitica, puntando su un immaginario sociale mercatista e sulla personalizzazione mediatizzata del leader. E con l’ ”esclusiva”, rispetto al berlusconismo, sulle "campagne" legate ai diritti civili: battaglie importanti ma socialmente minoritarie, perché interne alla latitante cultura liberalsocialista di microscopici, se non del tutto fantomatici, ceti medi riflessivi.
Probabilmente, la differenza fondamentale con la pubblipolitica vincente di Berlusconi, è nell’avere sbagliato “esclusiva”: non aver caratterizzato il Pd come partito dei diritti sociali. O se si preferisce come partito del welfare. E perciò con una sua forte fisionomia sociale (senza per questo cadere nell' anticapitalismo...). E qui è inutile rinvangare la politica mercatista (e dunque di destra) dei governi "fondomonetarizzati" di centrosinistra, succedutisi nell’ultimo quindicennio.
Diciamo che Veltroni, dando qui per “buona” la sua scelta pubblipolitica, ha lasciato che si facessero troppo giri di Walter sulle politiche sociali ed economiche. Lì, la sinistra riformista ha perso la sua partita con Berlusconi.
Va anche detto che qualsiasi ipotetico progetto veltroniano da sinistra sociale si sarebbe scontrato con una realtà italiana priva di solide tradizioni riformiste di stampo socialdemocratico. E quindi di una solida cultura del welfare.
Insomma, la sinistra postcomunista ha preteso di passare
dal comunismo berlingueriano al blairismo, saltando una fase socialdemocratica
"vera" di tipo tedesco o britannico. Per farla breve: il
postcomunismo italiano ha sposato le riforme di mercato, senza aver mai
condiviso la cultura socialista e democratica del welfare.
Perciò Veltroni avrebbe dovuto lavorare di
"immaginario sociologico", per dirla con Charles Wright Mills. Cosa
che si è ben guardato dal fare. Avendo preferito fin da giovane e poi da sindaco
e segretario del Pd, agli studi economici e sociali secondo la tradizione
socialista e democratica, le tavole rotonde e le ospitate televisive con
registi, cantautori, medici, bioetici e magistrati d’assalto.
E ora raccoglie quel che ha seminato. Anzi, fa
raccogliere al Pd...
Carlo Gambescia
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