giovedì 20 marzo 2008

Il libro della settimana: Franco Ferrarotti, Diplomatico per caso. La Parigi degli anni Cinquanta raccontata da un giovane osservatore. Guerini Studio, Milano 2007, pp. 224, in allegato il Cd: Franco Ferrarotti il pensiero e l’opera, Euro 23,50.

http://www.guerini.it/index.php/diplomatico-per-caso.html


Ecco un libro che potrebbe suscitare in qualche giovane di belle speranze, come dicevano i nostri nonni, una vocazione alla sociologia. Proprio nel momento in cui le “scienze della comunicazione” sembrano giocare nelle università italiane la parte del leone. Ma lasciamo subito perdere queste diatribe disciplinari, per venire al dunque.
Franco Ferrarotti è la sociologia. Punto. Almeno per quel che riguarda la storia di questa disciplina nell’Italia della seconda metà del Novecento. Ed è decisamente felice la sua decisione di far apparire per i tipi di Guerini una serie di volumi dove raccontandosi, se ci si passa il bisticcio di parole, racconta il lungo viaggio della sociologia italiana, e non solo, del dopoguerra. Infatti prima di Diplomatico per caso, sono apparsi Pane e lavoro! (2004), Le briciole di Epulone (2005) e Nelle fumose stanze (2006). Libri godibilissimi e istruttivi, dove Ferrarotti ci introduce, con quello stile spumeggiante ed erudito al tempo stesso, che gli è proprio, alla sua vita, ai suoi incontri, ma anche ai misteri dolorosi della sociologia.
In Diplomatico per caso , dove parla del suo soggiorno a Parigi tra il 1958 e il 1961, come responsabile per l’OECE del settore Social Factors, ricostruisce vivacemente quello che doveva essere (doveva perché poi non è stato...) il ruolo professionale, in senso "weberiano", di ogni vero sociologo, intorno fine degli Anni Cinquanta. Quale? Divenire uno studioso di questioni socioculturali nell’ambito dei problemi dello sviluppo. Insomma grande sociologia. O meglio: macrosociologia ex ante con coraggiose aperture storiche sui temi dell’industrializzazione. Ma anche da vincolare - ecco il punto forte - alla necessità di non imporre a tutti i costi, soprattutto nella aree "meno progredite", uno sviluppo puramente economicista e utilitarista, e dunque distruttore di ogni legame sociale e culturale in contrasto con il dio-sviluppo . L’esatto contrario di quel che poi è avvenuto. Come oggi provano i guasti sociali e ambientali provocati da uno sviluppismo, spesso approvato da certi sociologi, ipnotizzati dalla modernità in quanto tale.
Ma c'è anche dell 'altro. Oggi al sociologo viene chiesto di occuparsi "asetticamente", ed ex post , della gestione sociale del consenso sistemico. In senso astorico e dunque microsociologico (il "nostro" non è il migliore dei mondi possibili? E allora perché discutere di grandi sistemi storici comparati? Ecco, ahinoi, gli interrogativi oggi più in voga... )
Ma in particolare che cosa gli si chiede? Di far accettare alla collettività la crescente frammentazione di vite e lavoro. O per farla breve: la "precarizzazione". Da gustarsi "cinematograficamente" tutti insieme, come esito felice di una benefica globalizzazione economica. Menzogne.
Sotto questo aspetto sono ancora molto significative, sotto il profilo metodologico, soprattutto per la chiave “antiutilitarista” e “antieconomcista” che racchiudono, le appendici I e III, dai titoli molto significativi : “La Sardegna non è la Svezia” (1958); Parlamento e ricerca sociologica” ( 1963). Bene ha fatto Ferrarotti a includerle.
Insomma, giovani virgulti (altra espressione datata…), leggete e innamoratevi della sociologia. Per cambiarla però. Certo, una volta acquisiti gli strumenti euristici di base. Imponendo, finalmente, un coraggioso ritorno alla macrosociologia, ovviamente, fatta di piccole e concrete ricerche sul campo… Ma capace poi di volare alto, riconducendole nell'alveo di una visione sistemico-comparativa, storica e socioculturale, nonché vissuta e rivissuta, secondo la straordinaria lezione di Ferrarotti.
Straordinaria infine la galleria, ma diremmo folla di personaggi, conosciuti e “interagiti” dal Nostro. Non dimentichiamo, infatti, che Ferrarotti ha girato mezzo mondo, da vero sociologo intinerante, e perciò sempre pronto a recarsi "sul campo", come del resto nota lui stesso. E da quanto sappiamo, continua tuttora i suoi pellegrinaggi sociologici. E alla veneranda età di ottantadue anni. Complimenti professore!
Si pensi solo all’eccellente gruppo di lavoro parigino, da lui messo insieme all'epoca: ricco di nomi come quelli di Raymond Aron, Alain Touraine e Ralf Dahrendorf (entrambi all’epoca molto giovani), Michel Crozier, Jean Domenach, Georges Friedmann, Daniel Bell, Martin Seymour Lipset. E ancor più interessanti le osservazioni, spesso appuntite, di Ferrarotti su questo e quello. Ma anche su altri protagonisti della sociologia contemporanea. Ad esempio a proposito di Banfield, autore di un celebre, forse troppo, studio sul familismo amorale di certo Sud italiano, Ferrarotti, riporta una sua lontana conversazione con Leo Strauss. Il quale, d’accordo con lui sulle lacune del libro, osservava: “Ma lei ha visto le fotografie ? Errore averle messe. Sconfessano il libro. Ha visto gli occhi ridenti, consapevole e intelligentissimi di quei bambini? Come si può definire Backward, ritardata o stupida, una società dove ci sono bambini con quegli occhi” (p. 97).
Non solo. Che dire di questi ritratti, diciamo così, estemporanei di Dahrendorf, oggi baronetto d’Inghilterra, nonché di un altrettanto celebrato Bauman? “ Io lo ricordo [Dahrendorf], invece, giovane e magrissimo professore della Akademie für Gemeinde Wirtschaft in una casetta nella parte bassa e umida di Amburgo; dalla stanza accanto veniva, insistente, il pianto di un bambino e Dahrendorf mi parlava di Helmut Schelsky [ noto sociologo tedesco del dopoguerra di orientamento conservatore]. Ma ecco emergere dagli ipogei della memoria un’altra immagine, quella sbiancata di Zygmunt Bauman, a Varsavia, alla corte dell’arrogante Adam Schaff quasi come Paolo di Tarso ai piedi di Gamaliele. Adam Podguresky, valoroso sociologo del diritto, mi diceva, nel 1968, che Bauman era comparso a Varsavia, nel 1945, con l’uniforme del KGB. Ma perché scandalizzarsi? Un ex dirigente del KGB è oggi presidente della Russia?” (p. 127).
Che aggiungere? Compratelo. E magari regalatelo. Soprattutto a quei giovani che sono sul punto di scoprire l’università... 
Carlo Gambescia

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