lunedì 25 febbraio 2008

Perché Beppe Grillo continua a ignorare le “costanti” del politico?




Le “costanti” del politico.
Il “Monnezza Day” di Napoli?   Un altro successo di "folla".  Ma i media italiani lo hanno snobbato o ridotto a serata comico-folkloristica, dandone notizia in poche righe o secondi. Perciò questa volta, a differenza del “Vaffa Day”, sembra si sia preferito “silenziare” l’evento. Il che è tanto preoccupante quanto la precedente sovraesposizione mediatica del settembre 2007. Gli estremi finiscono sempre per congiungersi. Purtroppo.
Sul piano umano e intellettuale riteniamo che Grillo sia in perfetta buona fede. E soprattutto, come si diceva un tempo, preoccupato per il bene dell’Italia… Il che è nobile. Riteniamo però che sulle “costanti” del politico non abbia ancora idee precise. Il che ci dispiace, perché si tratta di un uomo intelligente e di valore. Ci permettiamo perciò di offrigli alcuni consigli.
Quelli gratuiti, a volte, sono i migliori, perché disinteressati.
Ma di che cosa parliamo? Quali sono le “costanti” del politico? E qui non possiamo non farci aiutare da Gianfranco Miglio: Ubi major, minor cessat. Si chiamano “costanti” del politico, perché sono regolarità comportamentali (non comportamentiste), sotto l'aspetto politico, che si ripetono storicamente. A prescindere dal regime politico, dai principi morali condivisi o meno, e dalle stesse circostanze. Sono le “leggi”che regolano la politica effettiva. E con le quali chi vuole fare politica deve misurarsi. E dunque, volente o nolente, anche Beppe Grillo.
Scrive Gianfranco Miglio:

E’ ormai possibile tentare - con una ipotesi più generale circa la struttura e la dinamica della ‘sintesi politica’ - l’unificazione, in un solo e comprensivo sistema, delle ‘verità parziali’ di Tucidide (la ‘regolarità’ delle ricerca del dominio ‘esterno’), di Machiavelli (la ‘regolarità’ degli egoismi concorrenti), di Bodin (la ‘regolare’ presenza in ogni sistema politico del capo decisivo), di Hobbes (il ‘regolare carattere fittizio di ogni comunità, e la radice ultima della rappresentanza politica), di Mosca e Pareto (la ‘regolarità’ della ‘classe politica’), di Tönnies (la ‘regolarità’ dell’antitesi Comunità-Società), di Weber (la ‘regolarità’ delle forme ideologiche di legittimazione), e infine di Schmitt (la ‘regolarità’ della contrapposizione ‘amicus-hostis’).
[Presentazione a Carl Schmitt, Le categorie del ‘politico’, il Mulino, Bologna 1988, p. 13].

Alcuni esempi
E ora veniamo a Grillo, facendo due esempi in argomento.
In primo luogo, gridare ai napoletani “Fate come il Kosovo, staccatevi da Roma” è ingenuo e pericoloso. Perché è un esplicito invito ad accrescere la frammentazione geopolitica, in una fase dove la politica - se si vuole contare qualcosa sul piano internazionale - richiede invece la nascita di grandi blocchi o spazi politicamente ed economicamente autocentrati. La vera politica e anche l'unica pace possibile si fondano sull'equilibrio tra più blocchi contrapposti e non sul dominio tirannico di una sola potenza su tutte le altre: in politica il pluralismo è sempre preferibile al monismo. Il che significa che si deve giudicare infondata e pericolosa, perché strumentalizzabile dalle formazioni politiche precostituite e più aggressive (come mostra la storia), quell'idea di instaurazione di un qualche “Regno della Pace Universale sulla Terra”. E quanto più ci si appella a un'idea monistica di umanità, tanto più il nemico che si oppone viene considerato "fuori dell'umanità" e dunque passibile di essere eliminato con qualsisi mezzo, anche il più feroce.

Comunque sia, dal punto di vista delle “costanti” politiche, crediamo che Grillo, a nostro modesto parere, debba invece cominciare a porsi il problema del rafforzamento di un blocco europeo (magari escludendo la Gran Bretagna...), come essenziale fattore geopolitico di un mondo pluralistico e non ridotto a provincia di un "nuovo ordine mondiale" a guida americana.
Dal momento che un’unità politica è tanto più capace di competere all’esterno quanto più è coesa e organizzata al suo interno. In caso contrario, la frammentazione, soprattutto se eccessiva, rischia di farsi funzionale al classico divide et impera, che finisce per fare il gioco delle entità politiche maggiormente organizzate e coese sul piano internazionale. Come, ad esempio, è accaduto nell’ex Jugoslavia.
In secondo luogo, la battaglia ecologista di Grillo è condivisibile. Tuttavia il suo elogio alla “lotta dei napoletani” contro i termovalorizzatori, anche se giusto, incoraggia un impolitico particolarismo ecologico. In che senso? La transizione, diciamo così, a un’economia verde, pur auspicabile, implica una preventiva opzione per la lotta politica e per la conquista del potere in quanto tale, ovviamente in chiave democratica. Per farla breve: la “gente” da sola, soprattutto se marginalizzata sul piano locale, non può farcela. Perché chi detiene le leve del comando ha i mezzi politici e mediatici, per impedire che esperienze di trasformazioni economiche nate in basso, possano crescere autonomamente fino al punto di sostituirsi, creando strutture economiche alternative, a quelle dominanti. Pertanto il localismo deve fare un salto di qualità, se vuole contare politicamente. Ed è quindi sbagliato incoraggiarlo a manifestarsi come tale.
Dal momento che un’unità politica può tanto più imprimere una direzione precisa ai processi economici e sociali, quanto più il suo potere è coeso e organizzato. Insomma, le esperienze collettive dal basso, se non vengono per tempo ricondotte nell’alveo di un disegno politico unitario e strutturato in alto, sono destinate a soccombere di fronte a entità politiche, come dire, già verticalizzate e più dinamiche. E qui si pensi, ad esempio alla “politica del carciofo” (del mangiare l’avversario, debole e disunito, foglia dopo foglia) che ha distinto storicamente i processi di formazione dei grandi sistemi politici.

La forma-partito
Ci siamo limitati a indicare solo due punti. Probabilmente Grillo, sottovaluta questi aspetti, perché crede che il politico possa essere superato, nei fatti, dalla pura e semplice partecipazione collettiva. Forse ritiene che le società, possano autoperpetuarsi e rinnovarsi, per vie interne senza alcun bisogno del comando e del conflitto politici
In realtà, la partecipazione diretta è importante nelle prime fasi, ma in quelle successive allo "stato nascente", ogni movimento collettivo, se vuole durare e soprattutto incidere “politicamente”, deve strutturarsi istituzionalmente in forme di rappresentanza, tra le quali va ricordata la moderna forma-partito. Perché delle due l'una: o il movimento riesce a strutturarsi in partito, o il potere politico dominante si impossessa del movimento, seguendo strategie di repressione o captazione riformista. Consideriamo valida la forma-partito, perché resta ancora oggi, la migliore “forma” di rappresentanza e partecipazione politica comunemente accettata da tutti. E comunque adatta a contenere quella derive plebiscitarie, spesso implicite nell’uso eccessivo della democrazia diretta. Di qui però, una volta scelta la forma-partito, la necessità per Grillo, di accettare alcune sfide “politiche” (nel senso della “costanti” di cui sopra), capaci di fare la differenza nei contenuti, tra il “Partito Grillista” e gli altri partiti.

Vediamo quali:
a) individuazione e "trattamento" del nemico.
b) organizzazione sul territorio secondo una precisa catena di comando.
c) definizione del proprio programma, partendo da una visione globale della società che si auspica.

Il nemico
Grillo designa come nemico interno l’intera classe politica: la "casta" Si tratta di una scelta moralmente giustificata, ma poco produttiva sul piano della politica reale: quello dei rapporti di forza, cui si deve sottostare, per riuscire ad “agguantare” il potere. Dal momento che di regola, una classe politica ostracizzata, come del resto oggi sta accadendo, appena viene attaccata, reagisce subito, per farla breve, “remando contro” il nuovo arrivato. Invece le “costanti” del politico, ferma restando la scelta del nemico (la "casta"), imporrebbero un altro comportamento, soprattutto se inizialmente si è forza politica di minoranza: quello di blandire e dividere il nemico, per poi “spegnerlo” senza tanti complimenti, appena i rapporti di forza iniziano a cambiare. Naturalmente sempre in termini di lotta politica democratica.
Quanto al nemico esterno, Grillo non lo ha ancora indicato, se non nella veste di alcune lobbies economiche internazionali. In realtà, la lotta politica, implica sempre l’indicazione della bandiera politica avversaria (anche quando eventualmente si nasconda dietro un disegno apparentemente economico...). Altrimenti resta il rischio che il nemico esterno ci sia indicato da altri: in genere, come accade, da chi è più forte di noi. Si pensi, ad esempio, alle attuali spedizioni militari europee, in conto terzi, per favorire una globalizzazione economica che danneggia, in primis, proprio l’Europa.

Organizzazione e programma
Quanto all’organizzazione, questa è sempre in funzione del nemico (esterno e interno). Di qui la necessità di puntare su un’organizzazione coesa e capace di competere adeguatamente con l’avversario, soprattutto in termini di catena di comando e rapidità di decisione. Sotto questo aspetto la blogosfera può giocare un ruolo importante come veicolo comunicativo e di collegamento. Tenendo però presente che una classe dirigente alternativa può formarsi solo sul campo: confliggendo e/o cooperando, sempre democraticamente, con altre forze politiche. E soprattutto, laddove possibile, amministrando. La blogosfera, spesso enfatizzata da Grillo, può perciò avere un ruolo informativo, di dibattito e anche di veloce collegamento, ma l’esperienza politica sul campo resta insostituibile.
Quanto al programma, crediamo si debba puntare, come prerequisito ideologico, su un’idea globale di società. Nel caso di Grillo, così attento alla questione ecologica, si pensi solo alll'importante ruolo programmatico che potrebbe giocare l'idea di società della decrescita, che qui ci limitiamo a indicare come modello (per alcuni aspetti programmatici, concreti, rinviamo all'interessante post di Carlo Bertani http://carlobertani.blogspot.com/2008/01/storia-di-lucidatori-di-sedie.html). Del resto si tratta di un'idea, quella di decrescita, già molto apprezzata dallo stesso Grillo. Alla quale andrebbe però conessa la critica sistematica del "Signoraggio sulla moneta", oggi imposto dai poteri bancari e finanzari
Di qui però la necessità di puntare su una trasformazione generale, diremmo forte, che possa auspicabilmente riguardare non solo l’Italia, ma l’Europa nel suo insieme, riallacciandosi appunto alla visione geopolitica, già ricordata di un blocco economico autocentrato (probabilmente, come già ricordato, escludendo la Gran Bretagna…).

Il rischio del “profeta disarmato”

Ma innanzi tutto crediamo che il "movimento grillista” - senza mezzi termini - debba imporsi di “conquistare il potere politico” in Italia (sappiamo benissimo quanto quest'ultima espressione sia oggi politicamente scorretta nella melliflua Italia del veltrusconismo...). Ma per riuscirvi Grillo deve prima cimentarsi teoricamente con le “costanti” del politico: farle proprie. E così capire l'importanza di trasformare il suo movimento in partito.
Un partito certamente democratico, ma come abbiamo visto, diverso dalle altre formazioni. Inutile dire che la nostra "perorazione" non riguarda le prossime elezioni di aprile... Anche perché i tempi sono troppo ristretti. Ma quelle che potrebbero venire dopo, e probabilmente anche a breve scadenza.
Del resto non vediamo altre possibilità. Ma solo il rischio per Beppe Grillo, come ogni profeta politicamente disarmato, di soccombere e sparire.

Carlo Gambescia



P.S. Domani non pubblicheremo il consueto post. Questo per consentire al lettore la "metabolizzazione" del post di oggi, piuttosto lungo e denso. Ma anche per favorire la riapertura su questo blog, del dibattito sulla "questione Grillo"

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