Valori categorici e diritto di critica
Inimicizie assolute
Il Guardian ha pubblicato un appello di 130
intellettuali ebrei inglesi, volto a rivendicare il diritto di critica
all’attuale politica israeliana verso i palestinesi (www.guardian.co.uk) . In Italia, un
professore torinese di filosofia è stato accusato di antisemitismo e sospeso
per aver criticato in classe la politica "sionista" del governo
israeliano (www.comedonchisciotte.org
).
Probabilmente in Inghilterra c’è maggiore libertà che in
Italia.
Quel che però più ci preoccupa dell’intera questione, è il muro contro muro in corso tra coloro che vogliono l’applicazione di leggi che puniscano estensivamente l’antisemitismo (fino a includervi la possibilità stessa di fare ricerche in argomento o su temi affini), e coloro che pur non essendo antisemiti, condannano la politica israeliana, in quanto "sionista" (colonialista), rivendicando un'assoluta libertà di critica politica e storica.
Per quale ragione si tratta di un fenomeno preoccupante? Perché ci troviamo dinanzi a due forme di assolutismo morale, o di etica dei principi. I sostenitori di leggi liberticide e i fautori della libertà di ricerca hanno in comune qualcosa di nobile e spaventoso al tempo stesso. Che cosa? La comune accettazione dell’ineluttabilità dell' obbligo morale (collettivo). E non importa qui analizzarne gli eventuali contenuti (etici). Va però fatta una precisazione: se l'obbligo etico ( fondato sull'idea del "crolli il mondo, ma io...") può avere valore e significato sul piano dei rapporti personali (da individuo a individuo), o su quello personale dell'esame di coscienza (l'individuo che riflette sul proprio comportamento morale), appena viene esteso ai rapporti tra collettività diventa pericoloso. Per quale motivo?
Perché le due parti si ritengono subito collettivamente depositarie di valori assoluti. E di conseguenza non possono non bollarsi reciprocamente come criminali e disumane. In questo senso, la logica della dialettica tra valore e non valore, implica una pericolosissima consequenzialità che attraverso un diabolico gioco al rialzo, spinge le parti in conflitto a "svalorizzare" progressivamente l’avversario, fino al suo annullamento totale.
Siamo perciò dinanzi alla schmittiana inimicizia assoluta. Che precede e implica necessariamente, ripetiamo, l’annientamento prima etico e poi fisico del nemico. L’inimicizia è tale, che qualsiasi prezzo da pagare per l’annullamento dell'Altro (collettivo), viene giudicato ragionevole . Il celebrato illuminismo delle leggi morali e delle libertà civili, appena si trasforma da individuale in collettivo, rischia perciò di divorare se stesso. E quel che è più grave i suoi fedeli...
Pertanto, l’esito finale del conflitto in atto, tra libertà di critica e imperio della legge, rischia di trasformarsi, prima in imbarbarimento collettivo, e poi nell’annientamento assoluto (etico e materiale) del più debole.
Quel che però più ci preoccupa dell’intera questione, è il muro contro muro in corso tra coloro che vogliono l’applicazione di leggi che puniscano estensivamente l’antisemitismo (fino a includervi la possibilità stessa di fare ricerche in argomento o su temi affini), e coloro che pur non essendo antisemiti, condannano la politica israeliana, in quanto "sionista" (colonialista), rivendicando un'assoluta libertà di critica politica e storica.
Per quale ragione si tratta di un fenomeno preoccupante? Perché ci troviamo dinanzi a due forme di assolutismo morale, o di etica dei principi. I sostenitori di leggi liberticide e i fautori della libertà di ricerca hanno in comune qualcosa di nobile e spaventoso al tempo stesso. Che cosa? La comune accettazione dell’ineluttabilità dell' obbligo morale (collettivo). E non importa qui analizzarne gli eventuali contenuti (etici). Va però fatta una precisazione: se l'obbligo etico ( fondato sull'idea del "crolli il mondo, ma io...") può avere valore e significato sul piano dei rapporti personali (da individuo a individuo), o su quello personale dell'esame di coscienza (l'individuo che riflette sul proprio comportamento morale), appena viene esteso ai rapporti tra collettività diventa pericoloso. Per quale motivo?
Perché le due parti si ritengono subito collettivamente depositarie di valori assoluti. E di conseguenza non possono non bollarsi reciprocamente come criminali e disumane. In questo senso, la logica della dialettica tra valore e non valore, implica una pericolosissima consequenzialità che attraverso un diabolico gioco al rialzo, spinge le parti in conflitto a "svalorizzare" progressivamente l’avversario, fino al suo annullamento totale.
Siamo perciò dinanzi alla schmittiana inimicizia assoluta. Che precede e implica necessariamente, ripetiamo, l’annientamento prima etico e poi fisico del nemico. L’inimicizia è tale, che qualsiasi prezzo da pagare per l’annullamento dell'Altro (collettivo), viene giudicato ragionevole . Il celebrato illuminismo delle leggi morali e delle libertà civili, appena si trasforma da individuale in collettivo, rischia perciò di divorare se stesso. E quel che è più grave i suoi fedeli...
Pertanto, l’esito finale del conflitto in atto, tra libertà di critica e imperio della legge, rischia di trasformarsi, prima in imbarbarimento collettivo, e poi nell’annientamento assoluto (etico e materiale) del più debole.
Quel che può essere eticamente giusto per il singolo, può
essere catastrofico per la collettività. Di qui la necessità di un'etica della
responsabilità ("quali conseguenze, se io, eccetera, eccetera?"), che
tenga appunto conto del pericolo insito nei determinismi della "ragione
collettiva" (o strumentale). E soprattutto della pericolosità sociale di
ogni conflitto collettivo fondato sull'idea di obbligo assoluto verso
qualsivoglia principio etico. Il che non è (e non sarà) mai facile, perché il
richiamo delle grandi sfide etiche collettive affascina gli uomini, soprattutto
se ricchi di ingegno e ambizione. Inoltre, l'etica della responsabilità, spesso
transigendo troppo, favorisce la pura e semplice conservazione dello status
quo, e dunque di certe storture sociali e politiche , giudicate come il
mare minore.
Una cosa però è importante comprendere: la strada
dell'etica (collettiva) dei principi, benché lastricata di buonissime
intenzioni, è senza ritorno.
Carlo Gambescia
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