venerdì 2 maggio 2014

Primo Maggio
Il  lavoro rende liberi?




Ricordiamo tutti  con sdegno  quel sinistro e beffardo, “il lavoro rende liberi”, che  accoglieva (si fa per dire), all’ingresso dei campi, le povere vittime del drago nazionalsocialista.  
In realtà, il lavoro non rende liberi,  ma  conferisce una precisa identità,  sulla quale può edificarsi la libertà e  prosperare una società libera. L'esatto contrario di ciò che si proponeva il totalitarismo nazista.  Eppure esiste un legame...  Ci spieghiamo subito.      
Il lavoro è  un’ esperienza esistenziale vincolante,  che  nelle nostre società contrassegna la vita delle persone (“sei quello che fai”), le distingue (“da coloro che fanno altri lavori”), le separa (da coloro che non hanno un lavoro). Inoltre,  il lavoro segna  e scansiona le varie  fasi  ed  età della vita ( si gioca, si studia, si lavora,  ci si svaga,  si va in pensione).
Pertanto la sua  perdita  rappresenta  un’autentica catastrofe, dal momento che perdendo il lavoro  si  perde l’ identità. Quindi vale il contrario: il  non lavoro (come perdita dell’occupazione) rende l’uomo  libero da vincoli e impegni, privandolo però al tempo stesso  di una preziosa  identità sociale.    
E che cos’è l’uomo privo di identità?  Un essere manipolabile, pronto a qualsiasi avventura, anche politicamente pericolosa, pur di recuperare la propria identità. I dati sulla disoccupazione tedesca prima dell’avvento di Hitler comprovano questa  tesi. Del resto esiste al riguardo una copiosa letteratura storica e sociologica.
Sotto questo aspetto,  i nazisti,  evocando  la missione liberatrice del lavoro, paradossalmente,  giocavano (barando)  sulla promessa di   conferire una  nuova  identità.  Ovviamente, come oggi  tristemente sappiamo, lo scopo era un altro e non poteva non essere quello, soprattutto alla luce del  feroce bellicismo e del terribile antisemitismo racchiusi nell'ideologia nazista.  Però, l’atroce inganno,  testimonia suo malgrado,  il nesso tra lavoro e  identità sociale, al quale seppure per pochissimo tempo,  finirono  per  credere,  non pochi,   fra  le stesse vittime dei campi nazisti.  Una tragedia nella tragedia… 
Il che significa, concludendo,  che con l’identità sociale delle persone non si scherza. E che tre milioni di disoccupati sono decisamente  troppi…
Carlo Gambescia 

                                                                    



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